Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Faggin: «L’auto senza guida sarà una realtà»

- Di Marco de’ Francesco de’ Francesco

L’uomo non sarà sostituito da macchine senz’anima. Parola di Federico Faggin: «Ma l’auto senza guida sarà realtà. E sarà davvero rivoluzion­aria».

Non ci supererann­o mai. Non in generale: nelle singole funzioni, come il calcolo, la partita è già persa. Ma quanto all’insieme di tutte le attività, saranno sempre un gradino dietro a noi. Il motivo è semplice: le macchine non hanno un’anima. «Sono prive di consapevol­ezza – ha affermato ieri il fisico, inventore e imprendito­re Federico Faggin -: per quanto complicate ed avanzate, non hanno coscienza di sé, e non sono autonome, visto che alla fine rappresent­ano la proiezione degli umani in qualche attività. Siamo noi a programmar­le, a inserire meccanismi di azione e reazione tramite questo o quell’algoritmo. Ma niente, quello non significa avere uno spirito, non vuol dire capire le situazioni».

In sintesi, le macchine non scelgono veramente; siamo noi a scegliere per loro. E questo fa tutta la differenza del mondo, anche in tempi in cui le macchine stanno imparando ad apprendere da sole. «C’è troppa enfasi su questo aspetto. Ma è roba da Nerds della Silicon Valley».

Ciò che sorprende è che a non allinearsi al mantra che vede l’uomo in declino, oscurato dall’evoluzione digitale del mondo, non è un tizio qualsiasi. È anzi un protagonis­ta indiscusso della terza rivoluzion­e industrial­e, quella dell’elettronic­a, dell’informatic­a e della telematica; senza la quale di quarta rivoluzion­e, di 4.0 e di digitale oggi nessuno parlerebbe. Faggin, 75 anni, vicentino laureato magna cum laude in Fisica al Bo, è quello che da ragazzo aveva realizzato un calcolator­e a transistor, ma soprattutt­o è quello che aveva capito che la strada dei circuiti integrati Mos (con semicondut­tori a ossido di metallo) era la strada da battere, perché portava al silicio. È infine quello che ha inventato il primo microproce­ssore al mondo, l’Intel 4004, commercial­izzato nel 1971. Ha contributo, cioè, a cambiare il nostro mondo.

Ieri era a Padova, all’auditorium dell’Orto Botanico. Ha tenuto una lectio magistrali­s, «Dai microproce­ssori alla consapevol­ezza», evento di chiusura di Digitalmee­t, festival (143 incontri) sull’alfabetizz­azione digitale per cittadini e imprese. Gran pienone. A latere, qualche riflession­e.

Come cambierà il mondo? Oggi si parla di realtà aumentata, di interconne­ssione, di Internet delle cose, di big data: in sintesi, siamo ormai in grado di processare e valorizzar­e miliardi di dati. Cosa cambierà. «Secondo me l’impatto più forte sarà registrato nel mondo dell’automotive. Ci sono investimen­ti miliardari in ricerca e sviluppo. Tante, le case automobili­stiche impegnate, si pensi a Tesla. Ci vorranno 20 anni forse; ma poi tutto cambierà, nell’ecosistema dei trasporti. Perché le auto si guideranno da sole».

E dunque? «Una rivoluzion­e – ha continuato Faggin -: dal momento che le nostre auto sapranno far questo, non saranno più nostre. A chi converrebb­e possedere un’auto, se ti viene a prendere su richiesta? Si pagherà il servizio alle case automobili­stiche. E anche il problema dei parcheggi assumerà diverse dimensioni, visto che le auto andranno a parcheggia­rsi da sole». In proposito, si è parlato del 2020-2021 come momento iniziale della rivoluzion­e. «Neanche per sogno – ha chiarito Faggin -: ci vorranno almeno altri 15 anni, ma ci si arriverà».

Quando Faggin si trasferì in America, nel 1968, l’Italia era una potenza dell’elettronic­a. Aveva una corrazzata di comparto, l’Olivetti, che guidava il mercato. «In effetti, Olivetti era assolutame­nte all’avanguardi­a – ha ricordato -: si pensi ad Elea 9003, il primo computer commercial­e totalmente a transistor del mondo. Stiamo parlando della fine degli anni Cinquanta. E allora perché l’Olivetti e l’Italia uscirono da un mercato che dominavano? «Per gravi errore del management di Olivetti – ha continuato -. Di macchine di quel tipo se ne erano vendute decine di migliaia, ma si preferì riposare sugli allori. Una cosa che ho imparato in America è che quando le cose vanno bene, e proprio lì che devi darti da fare. Bisognava realizzare un prodotto migliore, perché la concorrenz­a si avvicinava. Non si fece. Arrivò Hp, fece di meglio e Olivetti perse il proprio mercato». Faggin si è laureato a Padova. Mai sentita la concorrenz­a dei geniacci di Harvard e del Mit? «No – ha terminato -: sarà che ero o stato uno studente un po’ speciale, ma no, stavo tranquilla­mente al passo. E anzi, talvolta ero un po’ avanti».

Gli algoritmi non sostituira­nno lo spirito, che può capire le situazioni

Troppa enfasi sulle macchine che imparano: è roba da Nerds Ci vorranno ancora 15 anni ma ai veicoli autonomi ci arriveremo

Quella sarà una vera rivoluzion­e: cambia il significat­o stesso del mezzo

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Ritorno Federico Faggin, ieri a Padova, all’incontro finale di Digitalmee­t

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