Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Condannato il «capo» denunciato da Franzoso
«È una sentenza equa, crea un precedente in Italia». Andrea Franzoso, veneziano che denunciò corruzione e malaffare a Ferrovie Nord, il giorno dopo commenta così la sentenza di condanna a due anni e otto mesi per peculato e truffa aggravata a Norberto Achille, ex presidente Ferrovie Nord e suo ex capo.
Il processo riguardava i quasi 500mila euro sottratti da Achille all’azienda per shopping, viaggi, auto, abbigliamento. Fatalità, arriva proprio due anni e 8 mesi dopo la denuncia di Franzoso. Achille all’epoca aveva confessato subito: «Si, ho rubato, restituirò tutto». Troppe le prove (anche registrazioni audio) raccolte da Franzoso e allegate alla denuncia ai carabinieri.
Una vittoria? «La vera vittoria è che il reato non sia stato derubricato ad appropriazione indebita, quindi con pene e responsabilità minori, come chiedeva la difesa - fa notare Franzoso - . Achille aveva schierato l’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida e l’ex presidente Agcom Antonio Catricalà come giuristi illustri per dare un parere sulla derubricazione del reato. E sostenevano che Ferrovie Nord è azienda privata. Ma il giudice ha mantenuto invece l’accusa di peculato e ribadito invece che è azienda pubblica. L’altra novità assoluta è che per la prima volta in Italia un’associazione che combatte la corruzione come Transparency International è stata riconosciuta parte civile. Anche questo crea un importante precedente in giurisprudenza».
Dopo la denuncia è il polverone che ne e’ seguito, Franzoso ha perso il lavoro. Una vicenda e un dramma umano che ha raccontato nel libro «Il Disobbediente» (PaperFirst), uscito la settimana scorsa. Il clamore del libro gli ha portato un nuovo lavoro: autore televisivo per la piattaforma tivù avviata da Il Fatto Quotidiano. Una battaglia a lieto fine, insomma. «Questo aspetto a dirlo - replica Franzoso - si andrà in Appello e poi in Cassazione, non vorrei ci fossero sorprese…». Ma Achille ha già confessato e ammesso ogni responsabilità. «Non aveva scelta, è stato trovato con le mani nella marmellata, nel senso che c’erano troppo prove contro di lui. La sua confessione non è stata un atto di pentimento. Basta pensare che ha scaricato sui figli la responsabilità delle spese pazze con i soldi dell’azienda, questo la dice lunga sul personaggio».
In questa storia c’è anche la coincidenza «magica» della pena di due anni e otto mesi, che corrisponde al tempo passato dopo la denuncia. «E’ davvero incredibile, se fossi superstizioso me li giocherei al Lotto…»