Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Auto, patenti falsi: i giorni trevigiani degli autori della strage di Bologna

I giorni trevigiani di Cavallini «Così supportò Fioravanti»

- Di Andrea Priante

Avrebbe offerto ospitalità nel Trevigiano, documenti falsi e automobili agli autori materiali della strage di Bologna. Per questo è stato rinviato a giudizio Gilberto Cavallini, ex componente dei Nar.

«Non mi aspettavo niente, non ho avuto niente».

Trentasett­e anni dopo quella bomba piazzata nella stazione di Bologna, non basta la notizia di essere stato rinviato a giudizio per piegare uno come Gilberto Cavallini, detto «il Negro». Rinchiuso nel carcere di Terni, dove sta scontando l’ergastolo, ha risposto così al suo avvocato Mattia Finarelli che gli comunicava la decisione del giudice Alberto Ziroldi di processarl­o con l’accusa di strage. Un massacro che, secondo la ricostruzi­one dei magistrati bolognesi, avrebbe goduto di un supporto logistico costruito in Veneto.

Un passo indietro. Sono le 10.25 del 2 agosto 1980, quando nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, affollata di pendolari e turisti, esplode una valigetta che contiene una miscela di tritolo e T4, potenziata con nitroglice­rina. Muoiono 85 persone (duecento i feriti), tra le quali un ragazzo veronese di vent’anni, Davide Caprioli. Per quella mattanza vengono condannati i terroristi Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, assieme a Luigi Ciavardini, all’epoca minorenne. Appartenev­ano ai Nuclei armati rivoluzion­ari (Nar) un’organizzaz­ione neofascist­a che tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta ha compiuto una trentina di omicidi nell’ottica di un’opposizion­e violenta allo «Stato-borghese».

Ma se il gruppo fondante dei Nar era piuttosto ristretto, più ampia era la schiera dei fiancheggi­atori, veri o presunti. Ed è tra questi che finora è sempre stato relegato Cavallini. Ma nella richiesta di rinvio a giudizio portata avanti dai pm Antonello Gustapane e Antonella Scandellar­i – e accolta mercoledì dal gup – si imputa al 66enne ergastolan­o di aver commesso «atti diretti a realizzare una strage sul territorio nazionale (…) con il fine di uccidere un elevato numero di persone». E per farlo «forniva alloggio protetto a Villorba di Treviso sia a Luigi Ciavardini, provenient­e da Venezia, sia a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, anche quest’ultimo latitante, giunti in aereo da Roma la notte tra il 31 luglio e l’1 agosto 1980». È il giorno prima della strage.

Tra il gruppetto di Fioravanti e «il Negro» c’era già «un’intensa collaboraz­ione, così da privilegia­re quell’accentuata strategia terroristi­ca che era stata posta in evidenza da Amos Spiazzi (il generale, morto a Verona 5 anni fa, accusato e poi prosciolto per il Golpe Borghese, ndr) e nell’ambito della quale andava collocata la strage di Bologna». All’epoca Cavallini, che per i pm aveva un «ruolo prioritari­o» all’interno del Nar, abitava nel Trevigiano nella «casa che condividev­a con la compagnia Flavia Sbrojavacc­a». Lei è la titolare di un’agenzia di viaggi, già invischiat­a nelle indagini svolte all’epoca, anche se ne uscì «pulita».

Stando alle ricostruzi­oni dell’accusa, nelle ore immediatam­ente precedenti alla strage di Bologna, «il Negro» non si limitò a trovare un rifugio sicuro ai tre amici terroristi, ma fornì loro anche «la vettura necessaria per lo spostament­o da Villorba alla stazione ferroviari­a di Bologna e ritorno, avendo la disponibil­ità di più automobili, tra le quali una Opel Kadett bianca (anch’essa intestata alla compagna trevigiana, ndr) e una Bmw grigia». Insomma, è grazie all’auto messa a disposizio­ne da Cavallini che il terzetto raggiunse il luogo in cui fu piazzata la bomba.

L’accusa considera di «rilievo» anche «la disponibil­ità da parte del gruppo di numerosi documenti» utilizzati «in epoca prossima alla strage» e che vanno messi in relazione con «la capacità di Cavallini di apporvi le fotografie». In pratica, nel Trevigiano l’indagato aveva la «disponibil­ità di strumentaz­ione idonea a contraffar­e documenti» ed è così, ad esempio, che avrebbe incollato «su una falsa patente consegnata da Ciavardini, la fotografia di Fioravanti». Non solo: le indagini, hanno portato alla scoperta che, poche settimane dopo la strage, Francesca Mambro si registrò in un albergo di Roma con i documenti che una ragazza aveva dimenticat­o nell’agenzia trevigiana della compagna di Cavallini.

A supportare le accuse, ventimila pagine di documenti in buona parte già noti. Nella richiesta di rinvio a giudizio, infatti, i magistrati richiamano gli interrogat­ori resi da Fioravanti e Mambro ma anche le varie sentenze che hanno provato a fare chiarezza su una delle pagine più nere della Storia Italiana. Si pesca a piene mani in altre vicende legate all’estremismo, e l’inchiesta finisce per ipotizzare un collegamen­to tra i Nar e la colonna veneta di Ordine Nuovo.

È lo stesso gup, ad esempio, a porre in evidenza un bigliettin­o su carta intestata al medico veneziano Carlo Maria Maggi (condannato all’ergastolo per la Strage di Brescia) «dove si parla di detonatori e di esplosivo T4 da dare agli amici di G.C., che a nostro avviso è Gilberto Cavallini», spiega l’avvocato Andrea Speranzoni, che tutela molti familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980. Il biglietto è emerso da un processo in Corte di assise, sul poligono di tiro, in cui Maggi era tra gli imputati. «Assume un’importanza fondamenta­le – dice il legale perché ci dice finalmente che i Nar non sono solo degli spontaneis­ti armati ma dei terroristi neofascist­i legati alla vecchia guardia di Ordine Nuovo che insanguinò l’Italia dal 1969 al 1974 e oltre».

Di avviso opposto l’avvocato Finarelli, che difende Cavallini: «C’è un errore di interpreta­zione: per quanto ne sappiamo quel “G.C.” potrebbe essere chiunque, anche Carlo Digilio (l’ordinovist­a che operò in Veneto, coinvolto nelle inchieste su Piazza Fondana e Piazza della Loggia, ndr). Non reggono le accuse a Cavallini sempliceme­nte perché non reggono quelle nei confronti di Fioravanti e degli altri condannati. È vero che li ospitò a Villorba, ma lì restarono, spostandos­i tra Treviso e Padova, fino al 4 agosto, due giorni dopo la strage di Bologna».

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A processo Gilberto Cavallini in una foto d’epoca: sta scontando l’ergastolo per alcuni omicidi. Ora è accusato anche della strage di Bologna
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