Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
I simbolisti mistici delle confraternite nella Parigi dell’800
La mostra Venezia, la Collezione Guggenheim omaggia la corrente di artisti mistici seguaci di Péladan Pittori, designer e musicisti di fine Ottocento del «Salon Rose+Croix» (vietato all’altro sesso)
Erano grafici e pittori, designer e musicisti. Erano mistici, esoterici, teosofi e spiritisti. Innamorati del mito di Orfeo e incantati dall’esotismo orientalista, ma anche abili promotori del loro brand «Rose+Croix». Erano anarchici o destrorsi reazionari. E misogini cantori della «femme fragile et fatale». Simbolisti, in una parola, che hanno animato una breve e intesa stagione nella Francia di fine ‘800 capace di lasciare segni lunghi sulle generazioni successive di artisti.
Ora li omaggia la Collezione Guggenheim di Venezia con una esposizione arrivata dal Museo Guggenheim di New York e che da oggi si potrà visitare fino al 7 gennaio. «Simbolismo mistico. Il Salon Rose+Croix» è «la prima mostra mai organizzata da un museo dedicata a questa pagina di storia», come sottolinea la direttrice della Collezione, Karole Vail. Vivien Green, la curatrice, ha inseguito questi artisti adorati, temuti e rimossi velocemente. Li ha immersi nella musica, quella che loro adoravano, da Richard Wagner a Erik Satie.
I simbolisti avevano una guida: Joséphin Péladan, di cui in mostra si vedono alcuni ritratti, sguardo trascendente e sulfureo, zazzera e barba nere, lunghe vesti viola o bianche da santone. Si faceva chiamare Sar Merodach, millantando un lignaggio babilonese e predicando la necessità di un sincretismo di pratiche e di panteon, cristianesimo e occultismo. Detestava, come tutti i suoi seguaci, naturalismo e impressionismo, chiedeva rigore nel segno pittorico e grafico e la rappresentazione di mondi inclinati tra il reale e l’invisibile.
I simbolisti avevano anche alcuni riferimenti: Charles Baudelaire, ad esempio, «secondo cui un colore o una linea possono evocare uno stato d’animo o persino un’esperienza sinestetica», spiega la curatrice. E poi Stéphane Mallarmé o Arthur Rimbaud o Jean Moréas che scriverà l’articolo-manifesto «Le Symbolisme» su Le Figaro.
La prima uscita pubblica alla Galerie Durand-Ruel. Era il 1892. Péladan la chiamerà «geste estétique» e metterà un ingresso di ben 20 franchi per entrare a visitarla. Era il debutto della «Rose+Croix», un appuntamento che si ripeterà ogni anno fino al 1897. Nel manifesto d’invito, raffinato lavoro grafico di Carlos Schwabe, due donne salgono una scala piena di fiori, una guarda verso il basso, l’altra un po’ più in alto le tiene la mano e sembra un fantasma. La prima stringe una rosa, l’altra una pietra che manda luce verso il cielo.
Ogni opera contiene un crogiolo di segni, rimandi, gesti, figure e simboli. Tutto si tiene nella cosmogonia simbolista. Il mito del Santo Graal e l’Annunciazione. C’è «L’angelo dello splendore» di Jean Delville, androgino e lisergico. E poi il turbamento di Orfeo, che Alexandre Séon dipinge accasciato su una spiaggia con la sua lira al petto, mentre Pierre Béronneau lo coglie in piedi, marmoreo e mortifero.
L’aldilà, che Orfeo attraversa nel mito, nei simbolisti prendeva tante forme. In quello stesso frangente, la psicanalisi spalancava le porte agli intrighi interiori e al barocco dell’inconscio. I tumulti politici stappavano anarchismo e pre- paravano l’assalto al cielo: ne «L’alba del lavoro», Charles Maurin metteva in scena un popolo ignudo che aveva gettato nel fango i padroni avidi, mescolava la libertà di Delacroix e il conte Ugolino di Dante, mentre si intravedono le sagome dei minatori sulla collina con una bandiera rossa. Nelle sue splendide incisioni, Félix Vallotton osservava «La folla di Parigi» trattenuta da un poliziotto e un funerale borghese.
Chi restava fuori da questa fucina visionaria della rosa e della croce? Le donne. Péladan impedisce alle artiste di esporre nelle mostre annuali della consorteria simbolista. Confinate nel recinto religioso e medico tutto maschile, normate in un immaginario isterico e claustrofobico, finivano dipinte come devote a cantare de lodi in chiesa e virginali guardie di pecorelle oppure furenti figlie di satana e pericolose seduttrici.
Anche se protagonista di una pagina breve, il Simbolismo è stato capace di lasciare segni profondi. Artisti come Kandinsky o Mondrian ne furono debitori. Lasciati cadere gli orpelli, dimenticato il mentore-fanfarone e aperti a nuove visioni, avrebbero spalancato con quel bagaglio la porta al Novecento.