Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
DISEGUAGLIANZE E DISCESA SOCIALE
Se l’ascensore non sale, si pensa sempre che sia il motore a non funzionare; invece è possibile che la cabina non salga perché, semplicemente, i piani alti non ci sono. Fuor di metafora, che le condizioni sociali non migliorino perché non c’è sufficiente sviluppo. In effetti la grande crisi che abbiamo alle spalle solo in Veneto ha divorato dieci punti di Pil. Eppure, anche ora che – come sembra – il Veneto incassa due ottimi punti di Pil in questo 2017, tendiamo a dare una lettura troppo «americana», troppo economicistica della crisi. Pensando che basti il segno più del Pil per sciogliere ed assorbire quella mucillagine sociale appiccicosa di malessere, di livore e di insofferenza che oggi riassumiamo nel termine populismo.
Sottovalutando cioè quel grumo di variegate disuguaglianze che avviluppa la società.
«Nel paese dei disuguali» è un agile libro di Dario Di Vico, editorialista con laurea in sociologia del «Corriere della Sera», che ci prende per mano illustrando le piccole e grandi (e talvolta insospettabili) disuguaglianze che fessurano il paese e le psicologie. Come il divario tra i numeri dei bambini in povertà e la spesa sociale concentrata sulla vecchiaia. O tra impreselepri che corrono veloci con la ripresa mondiale in poppa ed imprese che arrancano inseguendo un modello produttivo superato. Ma anche la classe operaia si è fatta una e trina, spalmandosi tra «operai cognitivi» ricchi di competenze ed autonomia individuali, operai fordisti che lavorano ad una macchina singola o che stanno alle casse dei centri commerciali e quel magmatico «proletariato dei servizi» che corre con la logistica o che se ne sta ad accudire (leggi badanti) il nostro crescente invecchiamento. Un mondo cangiante, paradossalmente compreso ormai poco dalle stesse sinistre (che interpretano ancora la classe operaia ad una dimensione) e che sfuma nel mare magnum delle partite Iva e dei nuovi lavori terziari spesso all’insegna «del massimo ribasso».
In realtà, nota De Vico, la disuguaglianza è iniziata ben prima della grande crisi, quando non capimmo che non c’erano più il muro di Berlino, internet e la svalutazione della lira a proteggerci dalla globalizzazione. Così tante nostre produzioni troppo mature e «troppo cinesi» sono ora fatte in Cina o in qualche altro luogo low cost della grande «fabbrica del mondo» asiatica, mettendo in crisi piccole imprese e ceti medi produttivi.