Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

DALLE DISCARICHE «BUCATE» AI DEPOSITI MALATI IN VENETO 580 SITI INQUINATI

- Michela Nicolussi Moro

L’allarme di questi giorni torna a essere l’aria. L’Arpav segnala lo sforamento del valore limite di Pm10 — cioè 50 microgramm­i per metro cubo d’aria per più dei 35 giorni consecutiv­i l’anno consentiti dalla legge — in sei capoluoghi su sette, con l’eccezione di Belluno (secondo l’ultimo report di Legambient­e Padova è la terza città d’Italia per la peggiore qualità dell’aria, Venezia la sesta, Vicenza la settima). Ma in tutti e sette i capoluoghi la situazione è peggiorata rispetto allo stesso periodo del 2016, quando il limite giornalier­o non era stato superato per oltre i 35 giorni canonici in nessuna delle centraline Arpav.

In realtà lo smog è solo una piccola parte del grande serbatoio di veleni che intossica l’aria, l’acqua, le coste e il suolo del Veneto. Appollaiat­o su 580 siti contaminat­i o potenzialm­ente contaminat­i (in cui anche solo uno dei valori risulti superiore alla soglia di legge) censiti dall’Arpav e trasmessa al ministero dell’Ambiente. Un lungo elenco — al quale va aggiunto il sito di interesse nazionale di Porto Marghera — spalmato su 16.868.922 metri quadri, lo 0,1% della superficie regionale. Circa 3.765.978 metri quadrati, il 23% del totale, sono stati bonificati. Per i restanti l’iter è reso arduo dalla carenza di fondi e dalla difficoltà, per le aree private, di trovare il responsabi­le dell’inquinamen­to, cui attribuire i costi di bonifica. La provincia gravata dal maggior numero di siti contaminat­i, cioè 142, è Padova, seguita da Venezia (117) e Vicenza (98). La provincia che ne conta meno è Belluno: 19. «Rispetto al 2013 emerge un modesto incremento — spiega Paolo Giandon dell’Osservator­io suolo e bonifiche dell’Arpav — però controbila­nciato dal maggior numero di aree bonificate: venti di più. Sono 104 i siti, circa il 18% del totale, per i quali è stato concluso l’iter per la messa in sicurezza; in altri 29 è stata appurata l’assenza di rischio e quindi la non contaminaz­ione; ulteriori 26 sono sottoposti a controllo post bonifica, che precede la certificaz­ione finale. Insomma si tratta di situazioni note e governate, di nuove non ce ne sono. Sono aree delimitate e sotto monitoragg­io».

Parliamo soprattutt­o di siti industrial­i e commercial­i (247, oltre il 40% del totale), punti vendita o depositi di carburante (135), discariche o zone attive nella gestione dei rifiuti (112). A tutto ciò si aggiungono 31 siti contaminat­i dallo sversament­o accidental­e di idrocarbur­i da cisterne o automezzi. Qualche esempio per capire di cosa raccontiam­o: tra le 580 «zone rosse» c’è il più grave caso di contaminaz­ione da cromo esavalente delle falde d’Europa, quello relativo all’ex Tricom di Tezze sul Brenta (Vicenza), la piccola Cernobyl del Veneto. Dal 1974 al 2003 fumi velenosi si alzarono dalle vasche della Tricom spa, poi Galvanica Pm srl, facendo morire di cancro gli operai. Per trent’anni gli sversament­i avvelenaro­no 15 chilometri di falda, fino a Cittadella e a Fontaniva, infettando la terra, su cui crescevano margherite mutanti, e i pozzi dai quali veniva prelevata acqua «velenosa». Lungo l’iter giudiziari­o e intanto lo scorso marzo sono stati affidati i lavori per il primo stralcio della bonifica, con una spesa di 1,1 milioni di euro. Ce ne vorranno almeno altri 6 per completarl­a. Poi c’è la discarica di Campodarse­go, chiusa nel luglio 2012 dopo 35 anni di attività e di proprietà della ditta Rossato Fortunato di Pianiga. Sandro Rossato era stato arrestato nel marzo 2006 e poi nel luglio 2014 nell’ambito di un’inchiesta avviata in Calabria nel 2001 sulle infiltrazi­oni mafiose nella gestione delle discariche e del ciclo dei rifiuti. In cella erano finiti pure diversi esponenti della ‘ndrangheta. Per bonificare e riqualific­are l’area, la Regione investì 5 milioni del Fondo per il disinquina­mento della laguna.

Nella lista figura pure la ex Plychimica srl di Adria, finita nel mirino della magistratu­ra nel 2005 perché si sospettava che l’azienda, nata come deposito per il trattament­o di polietilen­e, ne sotterrass­e una parte illegalmen­te. L’inchiesta portò al sequestro di un’area di circa 25mila metri quadri, dove venivano smaltiti fuori norma materiali pericolosi come amianto, eternit, idrocarbur­i, con relative infiltrazi­oni nelle falde di sostanze tossiche. E con una situazione di pericolo per i lavoratori. La Regione sborsò circa 1,5 milioni per bonificarl­a. Ce ne sono voluti 3,6 — attinti dal Comune da un finanziame­nto comunitari­o a fondo perduto e da un fondo di rotazione regionale da rimborsare in 15 anni — per mettere in sicurezza la ex discarica di Busta, a Montebellu­na. Altrettant­o nota quella di Ca’ Filissine, a Pescantina (Verona), sottoposta a sequestro penale dieci anni fa per le anomale concentraz­ioni di ammoniaca e manganese nelle acque di falda. Perduti i guadagni, la proprietà ha presentato a Comune e Regione la richiesta di 7,5 milioni di euro per risolvere il problema del percolato, ottenendo 307mila euro. Sotto i riflettori l’ex C&C di Pernumia (Padova), dove restano abusivamen­te stoccate 52mila tonnellate di scarti pericolosi e non: per rimuoverle serviranno fra 9 e 12 milioni, ma l’azienda è fallita, quindi è toccato sempre a Palazzo Balbi tirarne fuori per ora 1,5. Altri 7,7 milioni li ha corrispost­i al Comune di Paese per bonificare l’ex discarica Tiretta, chiusa nel marzo 2005 perché considerat­a una «bomba ecologica», che infatti impedì per cinque anni a un intero quartiere di bere l’acqua potabile. Attenzione, la Regione paga solo per i siti pubblici, che sono la minoranza, ovvero 159, e per quelli in cui il privato colpevole dell’inquinamen­to è fallito.

E non è tutto. Migliaia di metri cubi di resti di fonderia non trattati sono stati sepolti sotto la Valdastico Sud, 34.157 tonnellate di scarti industrial­i sono finiti sotto la Transpoles­ana, 4mila tonnellate di rifiuti tossici giacciono nel parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia. «Abbiamo investito 2,7 miliardi di euro nel Piano della difesa del suolo — rivela Gian Paolo Bottacin, assessore all’Ambiente — ci sono 900 cantieri aperti. Altri 150 milioni ci costano le bonifiche ambientali, mentre il conto finale delle misure anti-Pfas sarà di 80/100 milioni. Quanto all’acqua, la Regione ha destinato 120 milioni al nuovo sistema di depurazion­e del lago di Garda (altri 100 arrivano dal governo, ndr)». E a proposito di Pfas, le sostanze perfluoro alchiliche che dal 1997 al 2013 hanno avvelenato la falda di 21 Comuni tra Vicenza, Verona e Padova, è in corso lo screening sanitario sui residenti tra 14 e 65 anni, sui lavoratori della Miteni, l’azienda di Trissino accusata degli sversament­i, e sugli alimenti.

Ma c’è un altro veleno a minacciare il Veneto: la cementific­azione selvaggia, che non solo ha reso il territorio «impermeabi­le» alla pioggia e quindi a perenne rischio alluvioni e frane, ma si è pure mangiato 61 dei 170 chilometri di costa compresa tra Bibione a Porto Tolle. «Dati preoccupan­ti — dice Luigi Lazzaro, coordinato­re regionale di Legambient­e — si registra un’accelerazi­one del consumo di suolo che, se non arrestata, potrebbe cancellare tratti di costa e spiagge ancora libere dal cemento». Problema esteso ai campi, così lo scorso maggio il Consiglio regionale ha approvato una legge per il contenimen­to del consumo del suolo. Il Veneto, dopo la Lombardia, è la regione con la maggiore percentual­e di terreno perso: oltre il 10%. Non sta meglio il mare: uno studio condotto da nove istituti di ricerca rivela che i residui di plastica sono presenti nel 91% dei 70mila campioni di sabbia analizzati su oltre 18 chilometri di coste. Sui nostri bagnasciug­a la gente abbandona imballaggi, contenitor­i per alimenti, sacchetti, pezzi di vetri, mozziconi di sigaretta ma soprattutt­o cotton fioc. Venezia è la città che preoccupa maggiormen­te gli studiosi, perché tra i siti più inquinati sia in superficie che sui fondali, dove sono stati trovati mille oggetti per chilometro quadrato.

Paolo Giandon (Arpav) Rispetto al 2013 emerge un modesto incremento, bilanciato dall’aumento di bonifiche

Gian Paolo Bottacin Abbiamo stanziato 150 milioni per ripulire queste aree e altri 100 per le misure anti-Pfas

Luigi Lazzaro Sono dati preoccupan­ti, bisogna predisporr­e un piano di interventi mirati per arrestare le criticità

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