Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Ai domiciliari per 14 stupri aveva foto hard di bambini Maglio va di nuovo in cella
L’ex carabiniere a processo, il sospetto del pm: cercava altre vittime
In attesa della sentenza d’Appello e con la mannaia della nuova richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di altri quattordici stupri pronta a calargli sulla testa, Dino Maglio, 38 anni, già carabiniere a Teolo, passava il suo tempo agli arresti domiciliari a casa della madre, a Tricase, nel Leccese. Ed è lì che i suoi colleghi dell’Arma, su ordine della procura salentina, l’hanno arrestato portandolo nel carcere militare di Santa Maia Capua Vetere.
Detenzione di materiale pedopornografico, l’accusa che ha portato di nuovo in cella e di nuovo in un Aula di tribunale quello che fu un uomo dello Stato. Tutto nasce durante un controllo di routine dei carabinieri a casa di Dino Maglio: nel verificare che l’ex militare non avesse lasciato l’abitazione della madre, i carabinieri di Tricase avevano controllato anche il computer del trentottenne. E nascosti in una cartella non poi così facile da scoprire, ci avevano trovato decine e decine di immagine di ragazzini e di ragazzine impegnati in atti sessuali. Tutte foto o filmati di minori che Maglio aveva scaricato dalla rete. Immediata è scattata la segnalazione in procura a Lecce. Ci è voluto poco tempo e dopo alcuni giorni l’ex carabiniere è tornato in cella. La paura dei magistrati è che Maglio – esperto frequentatore di internet dove si era costruito una seconda vita – potesse nuovamente utilizzasse la rete per adescare le sue vittime. Come dimostrato dalle due inchieste gemelle aperte in procura a Padova dal pubblico ministero Giorgio Falcone a partire dall’aprile 2014 quando la squadra Mobile aveva fatto irruzione nell’appartamento all’Arcella di Maglio, all’epoca in forza alla stazione dei carabinieri di Teolo.
A spingere i poliziotti a casa del militare era stata la denuncia di una diciassettenne australiana che prima di tornare dall’altra parte del mondo aveva raccontato in questura di essere stata drogata e stuprata dall’uomo che ospitava lei e la madre a Padova. Da quel giorno, il diluvio. La denuncia della diciassettenne australiana era diventata una condanna a sei anni e mezzo in primo grado e l’eco internazionale della storia aveva spinto altre quattordici ragazze a raccontare di essere state abusate da lui. Fatti che vanno da marzo 2013 a marzo 2014. Ben prima quindi che il velo sulla doppia vita di Maglio venisse squarciato dalla denuncia della diciassettenne australiana, nella rete del carabiniere stupratore infatti erano già cadute giovani polacche, canadesi, portoghesi, ceche, tedesche, statunitensi e di Hong Kong. Tutte adescate su Couchsourfing.com, la piattaforma web di affitto-camere. Tutte convinte da quel Leonardo (lo pseudonimo usato da Maglio per affittare le stanze) che offriva il suo appartamento all’Arcella a quante cercassero una stanza dove dormire durante il soggiorno a Padova e in Veneto. Quattro gli stupri accertati dal racconto delle vittime mentre dieci ragazze non hanno saputo dire nulla di quanto successo dopo aver bevuto il vino speciale offerto dal padrone di casa. Su di lui anche l’accusa di concussione. In tre occasioni aveva ordinato alle sue ospiti di cancellare i commenti negativi su di lui postati su Couchsurfing. Se non lo avessero fatto lui, da carabiniere, le aveva minacciate che «avrebbe potuto raccogliere informazioni tramite i dati del passaporto e del cellulare, denunciando e creando problemi in tutta Europa, in caso di controlli di polizia».
Couchsurfing Maglio usava il sito di prenotazioni on line couchsurfing per adescare le vittime