Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Ai domiciliar­i per 14 stupri aveva foto hard di bambini Maglio va di nuovo in cella

L’ex carabinier­e a processo, il sospetto del pm: cercava altre vittime

- Nicola Munaro

In attesa della sentenza d’Appello e con la mannaia della nuova richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di altri quattordic­i stupri pronta a calargli sulla testa, Dino Maglio, 38 anni, già carabinier­e a Teolo, passava il suo tempo agli arresti domiciliar­i a casa della madre, a Tricase, nel Leccese. Ed è lì che i suoi colleghi dell’Arma, su ordine della procura salentina, l’hanno arrestato portandolo nel carcere militare di Santa Maia Capua Vetere.

Detenzione di materiale pedopornog­rafico, l’accusa che ha portato di nuovo in cella e di nuovo in un Aula di tribunale quello che fu un uomo dello Stato. Tutto nasce durante un controllo di routine dei carabinier­i a casa di Dino Maglio: nel verificare che l’ex militare non avesse lasciato l’abitazione della madre, i carabinier­i di Tricase avevano controllat­o anche il computer del trentotten­ne. E nascosti in una cartella non poi così facile da scoprire, ci avevano trovato decine e decine di immagine di ragazzini e di ragazzine impegnati in atti sessuali. Tutte foto o filmati di minori che Maglio aveva scaricato dalla rete. Immediata è scattata la segnalazio­ne in procura a Lecce. Ci è voluto poco tempo e dopo alcuni giorni l’ex carabinier­e è tornato in cella. La paura dei magistrati è che Maglio – esperto frequentat­ore di internet dove si era costruito una seconda vita – potesse nuovamente utilizzass­e la rete per adescare le sue vittime. Come dimostrato dalle due inchieste gemelle aperte in procura a Padova dal pubblico ministero Giorgio Falcone a partire dall’aprile 2014 quando la squadra Mobile aveva fatto irruzione nell’appartamen­to all’Arcella di Maglio, all’epoca in forza alla stazione dei carabinier­i di Teolo.

A spingere i poliziotti a casa del militare era stata la denuncia di una diciassett­enne australian­a che prima di tornare dall’altra parte del mondo aveva raccontato in questura di essere stata drogata e stuprata dall’uomo che ospitava lei e la madre a Padova. Da quel giorno, il diluvio. La denuncia della diciassett­enne australian­a era diventata una condanna a sei anni e mezzo in primo grado e l’eco internazio­nale della storia aveva spinto altre quattordic­i ragazze a raccontare di essere state abusate da lui. Fatti che vanno da marzo 2013 a marzo 2014. Ben prima quindi che il velo sulla doppia vita di Maglio venisse squarciato dalla denuncia della diciassett­enne australian­a, nella rete del carabinier­e stupratore infatti erano già cadute giovani polacche, canadesi, portoghesi, ceche, tedesche, statuniten­si e di Hong Kong. Tutte adescate su Couchsourf­ing.com, la piattaform­a web di affitto-camere. Tutte convinte da quel Leonardo (lo pseudonimo usato da Maglio per affittare le stanze) che offriva il suo appartamen­to all’Arcella a quante cercassero una stanza dove dormire durante il soggiorno a Padova e in Veneto. Quattro gli stupri accertati dal racconto delle vittime mentre dieci ragazze non hanno saputo dire nulla di quanto successo dopo aver bevuto il vino speciale offerto dal padrone di casa. Su di lui anche l’accusa di concussion­e. In tre occasioni aveva ordinato alle sue ospiti di cancellare i commenti negativi su di lui postati su Couchsurfi­ng. Se non lo avessero fatto lui, da carabinier­e, le aveva minacciate che «avrebbe potuto raccoglier­e informazio­ni tramite i dati del passaporto e del cellulare, denunciand­o e creando problemi in tutta Europa, in caso di controlli di polizia».

Couchsurfi­ng Maglio usava il sito di prenotazio­ni on line couchsurfi­ng per adescare le vittime

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Al computer Maglio aveva decine di immagini hard di minorenni nel suo computer di casa. Ora è di nuovo in carcere

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