Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Da Einaudi a Kierkegaard Se il liberalismo combatte contro le «folle ignoranti» S
abato scorso mi sono recato a fare shopping a Padova; sia il titolare di un fornitissimo negozio di penne, che sono una delle mie passioni, che la raffinata proprietaria di una boutique mi hanno detto che leggono frequentemente questa rubrica e di non aver ben chiaro perché io insista nel definirmi liberale, quando ormai, sostanzialmente, quasi tutti lo sono. Ho risposto che è vero il contrario, invitandoli a leggere l’articolo che avrei scritto per oggi. I pochi liberali in circolazione sono fedeli alle loro origini : la parola «liberale» acquistò un significato politico alle Cortes di Cadice in Spagna nel 1812, quando coloro che insorsero per difendere le libertà dei cittadini contro i pubblici poteri si chiamarono «Los Liberales». Attualizzando il concetto, la battaglia è contro le invadenze delle pubbliche autorità e burocrazie. Ribadiamo il principio di Luigi Einaudi, secondo cui nello Stato di Diritto deve esserci: «L’impero della legge e l’anarchia degli spiriti». Il rispetto del diritto positivo vigente è indispensabile, ma nessuno può imporci altro, anche perché, come scrisse Alberto Savinio (fratello di Giorgio De Chirico): «Il liberale non ha padroni né in terra né in cielo». Riteniamo avesse ragione Søren Kierkegaard quando scrisse: «In ogni campo e per ogni oggetto sono sempre le Minoranze, i Pochi, i Singoli quelli che sanno: la folla è ignorante». Per questo, secondo noi, il suffragio universale è un male inevitabile. In definitiva ci specchiamo nel mini ritratto che David Hume delineò di sè: «Io ho di me stesso l’immagine di un uomo il quale, dopo aver cozzato in molti scogli ed evitato a mala pena il naufragio passando in una secca, conserva ancora la temerarietà di mettersi per mare con lo stesso battello sconquassato, con l’intatta ambizione di tentare il giro del mondo, nonostante queste disastrose circostanze». Mi pare quindi evidente che di liberali ce ne sono molto pochi.