Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Azione di responsabilità Veneto Banca Bankitalia e Consob nel mirino
«Controlli insufficienti»: autorità chiamate in causa insieme ai cda di Favotto e Lanza
Veneto Banca, Bankitalia e Consob chiamate in causa nell’azione di responsabilità. La novità di rilievo, nei giorni della conferma in via Nazionale del governatore Ignazio Visco, emerge dall’azione di responsabilità avviata da Veneto Banca, con la causa civile al Tribunale delle imprese di Venezia. Alla quale replica ora Vincenzo Chirò, l’imprenditore pugliese che sedeva nel cda di Montebelluna guidato da Flavio Trinca, quello costretto da Bankitalia a presentarsi dimissionario all’assemblea del 26 aprile 2014, in forza dell’operazione con cui Banca Apulia finì sotto il controllo di Veneto Banca nel 2009, dopo un’ispezione e la moral suasion di Via Nazionale.
Nell’atto di costituzione in causa, presentato alcuni giorni fa dall’avvocato Claudio Elestici, Chirò replica all’esser stato chiamato tra quelli che devono rispondere per danni quantificati in 2,3 miliardi, ampliando allora lo spettro di quanti vanno tirati in ballo. Ad iniziare da Banca d’Italia, accusata in sostanza di non aver compiuto controlli adeguati. Ma sotto accusa finiscono anche la Consob e la società di revisione di Veneto Banca, la Pwc - non chiamata a rispondere dalla banca - e anche Angelo Provasoli, l’esperto che fissò il prezzo delle azioni con cui fu eseguito l’aumento di capitale 2014. E ancora, i cda successivi a quello di Trinca, ad esclusione del board eletto con il ribaltone del maggio 2016, guidato da Stefano Ambrosini: si tratta di quello presieduto prima da Francesco Favotto e poi da Pierluigi Bolla, e di quello eletto da Atlante ad agosto 2016 e che ha guidato, sotto la presidenza di Massimo Lanza dopo che Beniamino Anselmi se n’era andato sbattendo la porta, la banca fino alla liquidazione di giugno. Ora sull’elenco di Chirò dovrà esprimersi il giudice.
Non è l’unico contenzioso aperto da Chirò nel tormentato rapporto con Veneto Banca. In ballo ci sono anche i contenziosi civili, che verranno rivolti ora a Intesa Sanpaolo, che ha mantenuto Banca Apulia nel perimetro delle attività acquisite con il decreto di liquidazione del 25 giugno, sulla vendita delle azioni di Veneto Banca legate all’acquisizione nel 2009, per 140 milioni, e quello da 60 milioni sul recesso dalle azioni Veneto Banca chiesto da Finanziaria Capitanata alla trasformazione in spa del dicembre 2015.
Ora si aggiunge il capitolo dell’azione di responsabilità. Nello specifico, Chirò replica punto su punto alle accuse avanzate nelle 380 pagine di memoria di costituzione di Veneto Banca. Così ad esempio, rispetto a Banca d’Italia, la difesa inizia ricostruendo un quadro di riferimento. La tesi è che Chirò viene catapultato in Veneto Banca sulla spinta proprio di via Nazionale, che impone nel 2009 ad Apulia la fusione in Montebelluna, indicata come banca solida. In più, è la tesi, non si può accusare Chirò di comportamenti dolosi per la sua presenza nel cda Trinca, dove, come ha mostrato l’indagine penale, la banca era gestita in sostanza da Vincenzo Consoli come amministratore delegato, insieme ad un nucleo solido di dirigenti e l’appoggio di gran parte del cda. Situazione difficilmente scardinabile.
A pesare, viceversa, secondo la linea di Chirò, sono i controlli giudicati insufficienti di Banca d’Italia. Così, se l’azione di responsabilità contesta al cda di Trinca di non aver chiuso il rapporto di lavoro con Consoli, la replica sostiene che il rilievo vada rivolto a quello successivo, così come alla stessa Banca d’Italia, che, se avesse voluto, aveva i poteri di rimozione. Un quadro di insufficienti controlli che, secondo i legali di Chirò, esce chiaro dalle relazioni post-ispezione di Consob e Bce del 2015, che enfatizzano la struttura inadeguata dei controlli interni e le svalutazioni sui crediti.
Chirò replica poi anche alle responsabilità sui danni reputazionali e sulle 40 posizioni di credito «facile» contestate dalla banca. Accusa che va rivolta semmai alle gestioni successive, è la replica, per la insufficiente concreta azione di recupero. E lo stesso si deve fare con il cda di Favotto, che aveva approvato l’aumento di capitale 2014, che non si può vendere come un semplice presa d’atto di decisioni già assunte.
La chiamata in causa della Consob, poi, avviene per i mancati controlli sullo svolgimento dell’aumento di capitale 2014, a differenza di quanto avverrà invece due anni dopo. Mentre invece al cda di Atlante viene contestato il prospetto dell’Offerta pubblica di transazione fatta dalla banca ai soci in primavera. Secondo la tesi dei legali di Chirò, avrebbe reso note irregolarità, usate dai soci esclusi per iniziare nuove cause contro la banca.