Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Gli ospedali del futuro sono fuori città e accessibil­i a tutti»

L’INTERVISTA DOMENICO SCIBETTA

- Angela Tisbe Ciociola

Cinque ospedali, 934mila assistiti distribuit­i in 103 Comuni. Dopo la riorganizz­azione della sanità territoria­le partita lo scorso gennaio, l’Usl Euganea è diventata la più grande del Veneto. «Per arrivare dove siamo oggi abbiamo unito non solo tre Usl diverse, ma tre culture e tre organizzaz­ioni territoria­li diverse». Sorride Domenico Scibetta, direttore generale dell’Euganea, nel ripercorre­re le prime tappe della riorganizz­azione.

Con 7800 dipendenti, da cosa siete partiti per organizzar­vi?

«Prima di tutto ci siamo chiesti di cosa hanno bisogno gli assistiti. Abbiamo incrociato dodici banche dati che contenevan­o i determinan­ti di salute e ne abbiamo ricavato una fotografia della situazione».

Quali sono state le problemati­che principali che avete dovuto affrontare?

«I cinque ospedali avevano modelli organizzat­ivi completame­nte diversi. Quindi abbiamo seguito due criteri diversi, razionaliz­zazione e omogeneizz­azione». Cioè? «Ognuna delle tre ex Usl gestiva i vari settori, dalla manutenzio­ne delle attrezzatu­re alla telefonia mobile, in modo diverso. Abbiamo preso la modalità migliore, prevedendo in questo modo un risparmio di quattro milioni e mezzo in un triennio. Ecco, questa è la razionaliz­zazione».

E per omogeneizz­azione cosa intende?

«Pensiamo ai pronto soccorso: sono cinque, ognuno con un criterio di attribuzio­ne dei codici diversi. Abbiamo cercato di uniformare le procedure, in modo tale che i pazienti abbiano ovunque lo stesso tipo di assistenza».

Però ogni ospedale ha i suoi punti di forza.

«E infatti dove esistono eccellenze, abbiamo cercato di mantenerle e anzi consolidar­le. Alcune strutture sono famose per l’oculistica. altre per la chirurgia plastica. L’importante comunque non è livellare verso la media, ma puntare al livello più alto».

La riorganizz­azione comunque ha generato non poche preoccupaz­ioni tra i dipendenti, soprattutt­o per quanto riguarda la mobilità

«Tutti i processi di cambiament­o generano timori. E parlare di mobilità genera sempre ansia. Specifichi­amo che non ci sarà nessun esodo di massa verso il centro. Cercheremo di mantenere la maggior parte dei servizi decentrali­zzati. Per tutti quei settori per i quali invece non è possibile, stiamo studiando bandi di mobilità volontaria con incentivi per lenire il disagio. Parliamo di numeri residuali che non intaccano le aree cliniche. E comunque abbiamo molte iniziative per il benessere dei dipendenti, dalla banca delle ferie solidali al nuovo parcheggio al Sant’Antonio ».

Ogni riorganizz­azione deve guardare a lungo termine. Dove sta andando la sanità? Su cosa si dovrà puntare?

«Sicurament­e prevarrann­o le malattie cronico-degenerati­ve, visto anche l’aumento delle aspettativ­e di vita. La grande sfida poi sarà la sanità territoria­le. Gli ospedali saranno luoghi di iperacuzie, quindi dovranno essere snelliti nel numero dei letti, si manterrà solo lo stretto necessario. E poi ci si dovrà concentrar­e sulla medicina riabilitat­iva».

L’Usl non siede al tavolo tecnico per il nuovo ospedale, ma da addetto ai lavori come vede la questione?

«(Sorride) Cerchiamo di mantenerci esterni. Mi auguro solo che la questione venga risolta nel più breve tempo possibile».

Il progetto della costruzion­e del nuovo ospedale fuori dalla città è stato associato a Schiavonia, il grande centro della Bassa che ha sostituito gli ospedale di Este e Monselice. Ad oggi, è stata una scelta intelligen­te costruirlo in campagna?

«Sicurament­e. Aggrega funzionali­tà che non avevano più senso fossero in centro».

Eppure all’inizio ha scatenato molte critiche

«Sì, perché i cittadini abituati ad averlo sotto casa non riuscivano più a percepirlo come un luogo proprio e familiare. Però costruirlo fuori ci lascia margine per futuri interventi. Potremo anche espanderlo a moduli. E poi se è facilmente accessibil­e non importa che sia costruito fuori città. Anzi, noi stiamo lavorando per portare la città, con tutte le sue attività per distrarre i pazienti, dentro l’ospedale, e non l’ospedale in città. Ed è a questo che si dovrebbe puntare».

Nuovo ospedale di Padova Non siedo a quel tavolo, ma mi auguro che la questione possa essere risolta nel più breve tempo possibile La Sanità nel lungo termine Gli ospedali saranno luoghi di iperacuzie con pochi posti letto. Poi ci si dovrà concentrar­e sulla riabilitaz­ione

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