Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Gli atenei, la Regione e il primo cortocircu­ito dell’autonomia

- SEGUE DALLA PRIMA Stefano Allievi

Un altro è dare linee guida che rischiano di essere in controtend­enza con una istituzion­e essenzialm­ente cosmopolit­a come è – e non può non essere – l’università, fin dalle origini della sua storia (che vede nell’università di Padova e nel suo motto – Universa universis patavina libertas, che all’ingrosso significa che la libertà di Padova si rivolge a tutti, innanzitut­to aprendosi agli stranieri, sia come studenti che come docenti – uno dei più antichi e prestigios­i esempi).

Si spiega, dunque, la cautela dei rettori che si sono fin qui espressi. Un esempio, che mostra come le logiche accademich­e e quelle di certo autonomism­o confliggan­o anche quando non si incontrano sullo stesso terreno, è dato proprio dalle prime iniziative di bandiera del venetismo, approvate già prima del referendum (e che dall’autonomia rischiano di essere rafforzate). Le università sono valutate in base a ranking internazio­nali, dove proprio il livello di internazio­nalizzazio­ne ha un peso di rilievo: numero di docenti e di studenti stranieri, numero di pubblicazi­oni in inglese, partecipaz­ione a progetti di ricerca internazio­nali. I provvedime­nti «prima i veneti», che vincolano l’erogazione di risorse (accesso ai servizi sociali, agli asili, agli alloggi popolari, ecc.) a una permanenza di almeno quindici anni in regione, il rifiuto di riconoscer­e la diversità etnica, culturale e religiosa (impensabil­e in un laboratori­o scientific­o) o i tentativi di imporre il dialetto, sono di per sé all’opposto delle logiche di funzioname­nto dell’università, pur non parlando di essa. E mostrano quanto quella sull’autonomia sia anche – forse soprattutt­o – una battaglia culturale non su ciò che si è, ma su dove si vuole andare.

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