Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

SVELARE LA MAFIA IN VENETO

- Di Antonino Condorelli

La Cassazione (Sezione 2) con le motivazion­i depositate l’8 novembre scorso è ritornata ad occuparsi di una delle questioni nevralgich­e riguardant­i i reati di associazio­ni criminali di «tipo mafioso», italiane e anche straniere, che infestano ormai, ancorché con modalità diverse, gran parte del nostro territorio nazionale e, in misura certamente significat­iva, purtroppo anche il Veneto. Il caso riguardava un gruppo di moldavi (circa 80) organizzat­i gerarchica­mente che, agendo nel territorio veronese e nelle province limitrofe, venete, lombarde ed emiliane, oltre a commettere diversi crimini, controllav­ano pienamente i movimenti transnazio­nali di merce e persone da e verso la madrepatri­a, dei propri connaziona­li, costringen­doli tutti a pagare, anche più volte, il cosiddetto «pizzo» per ciascun movimento e trasporto, e così quindi tenendoli assoggetta­ti al loro pieno controllo. E’ chiaro però che in questi casi, trattandos­i di associazio­ni straniere, l’azione giudiziari­a di investigaz­ione e contrasto incontra particolar­i difficoltà, e non è nemmeno pensabile che la forza intimidatr­ice dell’associazio­ne possa dispiegars­i pienamente con le stesse evidenze e incisive diffusivit­à che le sono proprie nel territorio di origine. Lo stesso, pur con i dovuti distinguo, potrebbe poi dirsi per l’operato delle varie organizzaz­ioni mafiose delle regioni meridional­i nei territori del settentrio­ne italiano.

Cassazione L’inchiesta su un’organizzaz­ione moldava e una sentenza

Esigere una medesima, e pressoché sovrapponi­bile, fenomenolo­gia operativa e un analogo controllo territoria­le, anche nei diversi contesti socio-ambientali, equivarreb­be quindi quasi ad escluderne generalmen­te la loro «mafiosità» al di fuori dei luoghi di origine. Le conseguenz­e pratiche in termini di forte indebolime­nto della risposta repressiva sarebbero così notevoliss­ime, non solo per la minore entità delle pene previste ma anche, se non soprattutt­o, della modalità della loro esecuzione, in riferiment­o ai divieti dei vari benefici previsti per le associazio­ni di tipo mafioso dall’ordinament­o penitenzia­rio. Ebbene la Cassazione, seguendo orientamen­ti più recenti e rigorosi, ha escluso la «indispensa­bilità del radicament­o territoria­le», affermando che il delitto ex art.416 bis c.p. è configurab­ile «anche con riguardo ad organizzaz­ioni che, pur senza controllar­e indistinta­mente quanti vivono o lavorano in un determinat­o territorio, circoscriv­ono le proprie illecite attenzioni a danno dei componenti di una specifica collettivi­tà, avvalendos­i di metodi tipicament­e mafiosi». Ciò esclude fra l’altro il paradosso che un più «spiccato senso civico» ed una cultura della legalità più forte in determinat­e popolazion­i, offrendo maggiore resistenza alla penetrazio­ne sociale della subcultura mafiosa, attenuino l’efficacia degli strumenti giudiziari di contrasto. In Veneto quindi sarà possibile intervenir­e con tali strumenti anche contro organizzaz­ioni che per così dire abbiano una portata operativa più limitata non riuscendo, fortunatam­ente, ad attingere le istituzion­i e la generalità dei cittadini e della loro vita lavorativa e civile. Di ciò occorre che tutta la magistratu­ra, anche quella meno abituata a confrontar­si con tali tipologie criminolog­iche, acquisisca piena consapevol­ezza. Alla stessa stregua sarà possibile - ed è questo il secondo importanti­ssimo principio enunciato nella decisione - non escludere valenza probatoria agli indizi logici e fattuali desumibili dall’esame dell’insieme di singole condotte e azioni criminose, e quindi pervenire, attraverso la prova logica, al giudizio relativo all’esistenza del vincolo associativ­o ed alla sua tipologia, valutando cioè, attraverso la piena utilizzazi­one di tutto il materiale disponibil­e, le modalità operative del sodalizio per eventualme­nte ricondurle ai tratti distintivi dell’associazio­ne mafiosa

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