Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Segre: la politica regionale soffia sul malcontento
«Per me non è per nulla facile usare certe parole, perché la mia bisnonna è morta ad Auschwitz. Ma quelli in Libia sono campi di concentramento, non centri d’accoglienza o di detenzione. Le persone ci arrivano senza nessun tipo di processo legale, sono ammassate, vendute e rivendute. Vanno chiusi e non dobbiamo smettere di protestare finché non lo saranno». Andrea Segre, 41 anni, regista padovano, proprio dell’inferno della Libia aveva parlato nel suo ultimo film L’ordine delle cose ancora nelle sale dopo due mesi di proiezioni in giro per l’italia e pronto a uscire in Europa. E della vendita dei profughi, aveva parlato quasi dieci anni fa in Come un uomo sulla terra.
I migranti ospitati a Cona si sono messi in marcia per protestare contro le condizioni di vita del centro.
«Hanno aspettato anche troppo! Qualsiasi veneto in quelle condizioni avrebbe protestato quindici mesi fa. La marcia la ritengo una protesta legittima». Perché Cona è in questa situazione? «Il problema di Cona sono gli altri Comuni che non accolgono. E non accolgono perché la politica regionale ha tutto l’interesse a non favorire l’accoglienza diffusa: più cresce il malcontento più cresce il consenso elettorale. E il governo centrale non riesce a imporsi. Il Veneto come sistema regionale è incapace di fare accoglienza diffusa, nella convinzione che “se facciamo i cattivi poi si fermano”. Ma non si fermano». Spesso sotto accusa ci sono anche le cooperative. «Nel momento in cui l’accoglienza non diventa interazione, la gestione passa per soggetti che costruiscono luoghi di concentrazione. Cona non è un campo di concentramento perché c’è un’autorità, ma è un luogo di accoglienza di massa che schiaccia la dignità. Luoghi come quello fanno guadagnare tanti soldi a soggetti che hanno un giro economico enorme tra le mani».
L’Onu intanto ha bollato come «inumano» l’accordo con la Libia.
«Bene, ma doveva farlo prima. Perché le condizioni di quei centri non si possono migliorare, quei centri si possono solo chiudere».