Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il primo arresto al Bo dai tempi del 7 Aprile
All’apparenza è una mattinata come tante altre: da una parte il viavai dei dipendenti per timbrare il cartellino, dall’altra la coda di studenti e laureati col curriculum in mano davanti allo sportello del servizio stage.
In realtà, basta parlare dell’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari di un alto dirigente per capire che il tempo si è fermato all’alba di mercoledì. Quando le pattuglie presidiavano l’ingresso e gli agenti bussavano alle porte degli uffici con un mandato di perquisizione.
Dopo aver raggiunto Palazzo Bo, l’eco dell’inchiesta sul giro di tangenti all’Università di Padova rimbomba anche nell’atmosfera ovattata di Palazzo Storione, l’elegante sede dell’amministrazione centrale a due passi dal rettorato di Rosario Rizzuto. E non poteva essere altrimenti, dato che il dirigente dell’area Edilizia e sicurezza è finito agli arresti domiciliari e che tra gli indagati ci sono altri sei dipendenti del Bo, tra cui un ricercatore di Ingegneria civile, edile e ambientale. La notizia è ancora fresca e lo stupore è inevitabile: «Lavoro qui da più di dieci anni, ma un fatto così grave non si era mai sentito - commenta un dipendente in pausa pranzo -. Mercoledì mattina, quando ho visto le macchine della polizia davanti all’ingresso, pensavo che fosse il servizio d’ordine per una manifestazione studentesca: scoprire che c’era una perquisizione in corso mi ha fatto un effetto strano, sono cose che di solito si vedono in tivù. Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire». Ettore Ravazzolo, il dirigente sotto accusa, è stato già sospeso in via cautelativa e verrà sostituito da Giuseppe Olivi, ex dg di Arpav e Usl 16, in servizio al Bo da aprile come dirigente dell’area Approvvigionamenti, patrimonio e logistica.
Se si fa eccezione per l’arresto del tecnico Mariano Molon che nel 1999 in preda a uno scatto d’ira sparò a tre persone, l’ultima volta che l’università di Padova ha fatto i conti con degli arresti risale al 7 aprile 1979. Era l’indagine per la sospetta eversione rosse, il cosiddetto «teorema Calogero», in cella finirono docenti di Scienze Politiche. Era l’inchiesta sui «cattivi maestri», sospettati di essere gli ispiratori delle brigate rosse. Di tangenti, corruzione, all’ombra del Bo, ci sono state solo chiacchiere, mai acclarate. Quella di due giorni fa è la prima inchiesta per corruzione universitaria che coinvolge il Bo. Altre indagini sono state portate avanti, ma in carcere non è mai finito nessuno. Fino a due giorni fa. Insomma, la reazione dell’Ateneo non si è fatta attendere: «Rizzuto è un rettore con le palle e ha dato una risposta appropriata», commenta un’impiegata dei servizi informatici. «Vista la gravità della vicenda, la risposta non poteva essere molto diversa – aggiunge il dipendente in pausa pranzo -. Però bisogna ammettere che l’Ateneo si è mosso in maniera molto rapida, tanto che ho visto prima le dichiarazioni del rettore e poi le ricostruzioni dei giornali».
Tra i dipendenti che ieri hanno accettato di commentare la vicenda, tutti dicono di conoscere Ravazzolo di fama e di vista, ma nessuno di loro ha mai avuto rapporti stretti con lui. E la sensazione è che quelli disposti a difenderlo non siano molti: «Più che dispiaciuti siamo stupiti – dice un’altra impiegata informatica -. Non abbiamo mai sentito voci sospette sul suo conto, ma si sa che nell’ambito dell’edilizia girano tanti soldi e che cose come queste possono succedere». L’attenzione piuttosto è rivolta agli altri indagati dell’area Edilizia e sicurezza, che lavorano a Palazzo Storione nei servizi di Manutenzione e Progettazione: «Speriamo che la giustizia faccia il suo corso in tempi rapidi anche e soprattutto per loro – dicono le impiegate informatiche -. Si tratta di colleghi che guadagnano mille euro al mese o giù di lì, ci sembra strano che abbiano corso un rischio del genere. Magari sono finiti in mezzo a questa vicenda per sbaglio». Il dipendente in pausa pranzo concorda: «L’errore del dirigente ci può stare, quello degli altri indagati molto meno. Di solito i collaboratori del dirigente non hanno il polso della situazione, può darsi che siano stati semplicemente esecutori inconsapevoli».