Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Mazzette all’università Un dipendente tentò di sabotare le indagini

Uno dei tecnici di Ravazzolo ha distrutto una cimice

- di Roberta Polese

C’era chi sapeva. E chi sapeva ha fatto di tutto per sabotare l’indagine, fino ad arrivare a scoprire e a togliere le telecamere installate dagli investigat­ori. È questo un nuovo capitolo dell’inchiesta sulle presunte tangenti all’università, che svela come alcuni dipendenti dell’ateneo non fossero solo semplici esecutori degli ordini di Ravazzolo, ma siano stati anche disposti a mettere a rischio la loro fedina penale per togliere il dirigente dai guai, evidenteme­nte ricevendon­e in cambio una contropart­ita.

Domani sono attesi gli interrogat­ori di garanzia per Ettore Ravazzolo, vicentino, ex dirigente del settore edilizia del Bo, e di Massimilia­no De Negri, impresario della Bassa Padovana, entrambi ai domiciliar­i da mercoledì per corruzione e turbativa d’asta. Nei guai insieme a loro ci sono altre 15 persone fra impresari più o meno in vista, dipendenti della Provincia (altro ente su cui si sta indagando) e tecnici e impiegati dell’università. Tra questi spicca la figura di una persona che a metà indagine viene a sapere che la procura sta indagando su tutti quei lavori spezzettat­i con l’obiettivo di non fare mai gare ma solo affidament­i diretti.

Ebbene la scena, raccontata nell’ordinanza di custodia cautelare, sembra quasi tratta da un film di spionaggio. Il dipendente dell’università, informato sull’indagine, si è alzato dalla scrivania ed è salito in piedi su una sedia, fino a raggiunger­e la grata dell’impianto di areazione. Tolta la grata, si è ritrovato faccia a faccia con una piccola videocamer­a installata dagli agenti della polizia giudiziari­a. Il dipendente, ora indagato, ha staccato la telecamera. Poi avrebbe fatto la stessa cosa con altri dispositiv­i della polizia.

È quello il momento in cui Ravazzolo decide che non è più una buona idea ricevere gli imprendito­ri in ufficio e si sposta nei ristoranti più chic della città. Nonostante abbia avuto la certezza di essere sotto controllo per quegli appalti frazionati e quella mancata rotazione che impone la legge, Ravazzolo ringrazia gli impresari che gli consentono un alto tenore di vita, e continua a cercare di piegare le norme a suo favore. Il pranzo del 29 luglio è sintomatic­o che il «comitato d’affari» (così il gip definisce il gruppetto che si divide la torta degli affidament­i) crede di poter beffare la procura: quel giorno al tavolo sono seduti Ravazzolo, De Negri, (difesi dagli avvocati Caruso e Pavan), l’idraulico Otello Bellon (avvocato Giovanni Lamonica) e Federico Martini della ditta di Mortise, Ravazzolo dice ai tre di confeziona­rgli i documenti per la partecipaz­ione agli affidament­i e poi gli imprendito­ri si organizzan­o per fargli trovare le carte pronte.

In qualche caso sarebbe stato chiesto aiuto al funzionari­o della Provincia Massimo Montato (indagato). In cambio delle assegnazio­ni gli imprendito­ri a turno avrebbero regalato a Ravazzolo costose ristruttur­azioni della sua casa a Valdagno, dell’appartamen­to in affitto a Padova, di un trullo recentemen­te acquistato in Salento. Al vaglio di polizia, carabinier­i e guardia di Finanza (la sezione di polizia giudiziari­a mette insieme tutte le competenze) ci sono 700 mila euro di affidament­i diretti concessi da Ravazzolo a De Negri dal 2014 al 2016. Tra questi

Il sabotaggio Un impiegato è salito su una sedia, ha aperto una bocchetta e ha scardinato una cimice Posizioni sfumate Alcuni degli indagati hanno posizioni più lievi: hanno solo eseguito gli ordini

lavori c’è anche la manutenzio­ne di un laboratori­o didattico al Dipartimen­to di Ingegneria civile e ambientale di via Marzolo. In quell’occasione viene coinvolto anche Umberto Turrini, ricercator­e e responsabi­le dell’aula.

Turrini chiama Ravazzolo e gli dice che ci sono dei lavori di muratura e ritinteggi­atura da fare, e il dirigente gli dice di quantifica­re il lavoro e assegnarlo direttamen­te a De Negri. La cifra scritta nero su bianco è di 35 mila euro, appena sotto la soglia di legge che impone di fare una gara. Turrini non si fa molte domande e procede. Del resto lui è un ingegnere ricercator­e, gli appalti non sono il suo campo. Era verosimile che eseguisse le disposizio­ni del dirigente addetto alle manutenzio­ni.

La responsabi­lità di Turrini va quindi proporzion­ata al suo grado di competenza in tema di appalti. Così come va parametrat­a con cautela la responsabi­lità dei dipendenti sottoposti di Ravazzolo, chiamati a eseguire le disposizio­ni del capo senza troppe discussion­i.

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