Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL NUOVO DISAGIO

- di Vittorio Filippi

«Questo povero grida e il Signore lo ascolta».

Il salmo è contenuto nel messaggio del Papa che ha voluto indire la prima Giornata mondiale dei poveri. Una frase che in sole otto parole ci interpella – credenti e non credenti senza distinzion­e alcuna – su tre punti importanti.

Il primo, chi sono i poveri. Una categoria che una volta appariva abbastanza chiara e definita, rimandava alla disuguagli­anze di reddito e a determinat­i segmenti sociali marginali per definizion­e. Oggi tutto si è rimescolat­o, i bambini (in Veneto il tredici per cento di loro è in povertà) e i giovani con l’ascensore sociale in costante avaria sono i nuovi poveri «generazion­ali», quella «classe disagiata» di cui parla il libro di Raffaele Ventura. E comunque la disuguagli­anza classica permane e si accentua, dato che in Veneto il dieci per cento più ricco accumula da solo cinque volte il reddito a disposizio­ne del dieci per cento più povero.

Ipoveri gridano, dice il salmo. Nel passato, ma non più oggi. Perché il malessere sociale non si organizza in forme aperte di conflitto (nella società liquida anche la protesta si fa liquida), ma si individual­izza nella disperazio­ne o si incanala in cupi sentimenti autoritari e a forte matrice identitari­a. La lettura dell’ampio sondaggio commission­ato dalla Legacoopso­ciali sulle paure emergenti offre un quadro sociale inquietant­e della diffusione dell’esclusione, del rancore, della chiusura, del senso di minaccia rappresent­ato dagli immigrati (soprattutt­o romeni e rom) ma anche dalla tecnologia “mangiapost­i” dell’industria 4.0. Colpisce l’iperpessim­ismo sul futuro, in cui la società viene prevista tutta al negativo: più povera, più vecchia, più frenetica, più ingiusta.

Ed infine “il Signore lo ascolta”, rassicura il salmo. Sarebbe da chiedersi oggi chi ascolta – o vede – i poveri, nella loro infinita varietà e tipologia. Una volta – proprio così, come nelle belle fiabe – si sapeva chi si occupava degli ultimi o perlomeno chi a loro si rivolgeva. C’era lo Stato del welfare, c’erano i partiti della sinistra, c’era la Chiesa. Talvolta c’era anche la solidariet­à invisibile della parentela, del vicinato, della comunità. Oggi tutto si è ristretto o addirittur­a sparito. La coperta del welfare, come sappiamo, si è alquanto ristretta, per vari motivi. La solidariet­à “a chilometro zero” d’un tempo risente della crisi delle famiglie, della demografia avversa, dell’imbarbarim­ento dei rapporti di vicinato. Non parliamo poi della sinistra, che dalla caduta del muro di Berlino non ha più prodotto una teoria praticabil­e di società giusta e solidale. Rimane la Chiesa, che ancora ha nel suo radar poveri e povertà. E che – come nel caso dei profughi di Cona – osa perfino scontrarsi con la politica e l’opinione corrente. Dimostrand­o ancora, dopo duemila anni, che la croce è “scandalo e stoltezza”, come diceva Paolo.

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