Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il leader islamico «Troppe tasse qui vado via pure io»
Da Cinto al Qatar, dove le due figlie hanno trovato lavoro
È il presidente della Federazione islamica del Veneto, vive nel Veneziano da 20 anni, ma ha deciso di ri-emigrare e raggiungere le figlie in Qatar: «Là c’è lavoro, qui troppe tasse e faccio fatica ad arrivare a fine mese». Bouchaib Tanji, moderato, fu anche applaudito in piazza dopo la rabbiosa condanna degli attentati sulle Ramblas.
Abita da oltre vent’anni a Cinto Caomaggiore, provincia di Venezia. Racconta che questo Paese gli ha dato «un posto di lavoro, un’opportunità di vita e due anni fa anche la cittadinanza». Eppure Tanji Bouchaib, presidente della Federazione Islamica del Veneto, l’uomo che in agosto con la sua rabbiosa condanna verso gli attentati di Barcellona si era guadagnato gli applausi della piazza di Bassano riunita in ricordo di Luca Russo, è pronto a fare le valigie con la moglie e la terzogenita ancora minorenne. Deciso, a 57 anni, a mollare tutto, il posto da operaio in un’azienda di Portogruaro, gli amici, l’associazione culturale Assalam che presiede, la vita che si è costruito in Italia.
Come mai una scelta così drastica?
«Non ce la facciamo più, stiamo soffocando, colpa dell’alto costo della vita e delle troppe tasse: abbiamo un mutuo sulla casa, lavoriamo in due, io e mia moglie, eppure facciamo fatica ad arrivare a fine mese». Dove vuole ricominciare? «Sto pensando di raggiungere le mie due figlie più grandi che vivono in Qatar, dove hanno trovato lavoro. Si sono entrambe laureate qui ma trovare lavoro non è facile: l’Italia non è un paese per i giovani, per loro ci sono solo contratti di pochi mesi, nessuna sicurezza a lungo termine. Lo ammetto, non vorrei essere nei loro panni».
Sono molti i connazionali residenti in Veneto che hanno scelto di ri-emigrare?
«Sì, è un fenomeno nato con la crisi economica che ha colpito il Paese, da sette, otto anni a questa parte. Molte delle persone che conosco, soprattutto coloro che avevano ottenuto la cittadinanza italiana, hanno fatto le valigie».
Una scelta che ha poi portato a delle certezze?
«Chi è andato in Francia non è più tornato indietro: vivono meglio e di lavoro ce n’è, cosa che spero possa verificarsi anche in Italia. Confido che vi sia una ripresa, che si torni alla normalità».
C’è invece chi ha rimpianto
quella decisione?
«Ci sono anche coloro che non ce l’hanno fatta, sì, che hanno lasciato l’Italia per la Siria o il Marocco senza riuscire a realizzarsi dal punto di vista lavorativo e che per questo hanno fatto ritorno per una seconda volta in Italia». E lei ha mai pensato di rientrare nel suo Paese d’origine?
«L’ultima volta che sono stato in Marocco sono anche tornato, l’amico italiano che mi ha accompagnato invece è rimasto là e ha aperto un ristorante. E questo la dice lunga».
Ricomincerà altrove come altri, contando su quanto accantonato negli anni di lavoro in Italia?
«Nessun gruzzoletto, le assicuro. Non ho risparmi da parte: ho fatto studiare e laureare le mie figlie e sono contentissimo per questo».
Ma è proprio convinto di lasciare Cinto Caomaggiore e l’Italia?
«Sì, e non è solo perché fatico ad arrivare a fine mese. C’è altro». A cosa si riferisce?
«Qui come musulmano non riesco a godere dei diritti concessi per esempio in Francia come quello di aprire un centro islamico o far imparare ai miei figli la lingua araba, la lingua madre». Un ostacolo?
«Un handicap per noi, e io sono la prima vittima della legge anti moschee: il centro aperto a maggio a San Stino di Livenza è stato chiuso in pochi giorni. Se non posso fare una preghiera in gruppo non sono libero».
Tanij Sono stato in Marocco con un italiano, lui è rimasto là e ha aperto un locale. La dice lunga