Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Si impicca dopo le calunnie su Facebook

L’imprendito­re era stato accusato di truffa, per la procura è istigazion­e al suicidio

- Roberta Polese

Dopo un anno e mezzo è diventato evidente che le parole scritte su Facebook erano solo calunnie. Le presunte accuse di truffa rivolte a Bruno Ruzzarin da parte di alcuni clienti si sono rivelate un falso ma nel frattempo l’imprendito­re si era già tolto la vita e nei mesi scorsi è fallita anche la sua azienda. Ora però la procura vuole vederci chiaro sulla vicenda e ha dato mandato alle forze dell’ordine per capire se gli insulti on line abbiamo effettivam­ente spinto l’uomo a impiccarsi.

È riuscita a sopravvive­re per un anno e mezzo al suo fondatore, poi ha chiuso i battenti. Qualche giorno fa il giudice ha dichiarato il fallimento della Edilveneta srl, società con sede legale a Padova che era appartenut­a a Bruno Ruzzarin, imprendito­re di 60 anni suicidatos­i il 3 aprile del 2016 sopraffatt­o dall’angoscia per i molti insulti ricevuti on line.

E mentre l’azienda che gli era valsa tanti sacrifici chiude, la procura sta portando avanti un’inchiesta per istigazion­e al suicidio. Bruno Ruzzarin era un imprendito­re molto conosciuto, la sua Edilveneta aveva avuto successo, negli anni, ed era riuscita a guadagnars­i anche la realizzazi­one di alcune villette in montagna. Ma qualcosa era andato storto nella gestione dei clienti: alcuni si erano lamentati su una pagina Facebook di presunti raggiri o truffe che sarebbero stati messi in atto proprio dal titolare della Edilveneta ai futuri compratori delle case. Ruzzarin era stato travolto da quell’onda mediatica denigrator­ia in cui veniva tacciato di essere un truffatore, un’accusa per cui Ruzzarin era stato anche indagato dalla procura di Belluno. L’indagine era stata aperta dopo la denuncia depositata da una delle amministra­trici della pagina Facebook in cui si raccontava di una serie di raggiri legati alla compravend­ita di appartamen­ti a San Vito di Cadore, alle porte di Cortina.

Era stata poi la stessa magistratu­ra a chiedere l’archiviazi­one dal caso. Ma le accuse continuava­no, e per l’imprendito­re erano diventate un’onta insopporta­bile. Fino a quando non ha deciso di farla finita.

Domenica 3 aprile 2016 Ruzzarin si impiccò nella casa che condividev­a con la moglie ad Altichiero. Furono i famigliari a sfogarsi con la polizia e a raccontare lo stato d’animo di Bruno, prostrato da tutti quegli insulti. Sul caso stava già indagando la guardia di Finanza cui erano state denunciate le frasi offensive sui social; i finanzieri avevano già raccolto del materiale e sarebbero stati pronti a discuterne con l’imprendito­re, che però, sopraffatt­o dagli eventi, si è tolto la vita. Il giorno in cui si suicidò tra le 13 e le 17, Ruzzarin aveva più volte cercato di contattare via sms o con chiamate il proprio avvocato, ma lo fece con un cellulare che non usava mai. «Ti prego rispondimi». «Devo parlarti», scriveva l’uomo da un numero che il legale non aveva e firmandosi solo con il nome di battesimo. Fino all’ultimo, eloquente, sms inviato attorno alle 17: «Già preparato il cappio, spero di non aver fatto male ai figli».

Sms che il legale ha visto solo a tarda sera senza più poter rispondere a quel disperato, ultimo, grido d’aiuto. Non appena si diffuse la notizia della morte dell’imprendito­re gli autori delle frasi su Facebook cancellaro­no i post più offensivi, e insieme a loro sono svaniti nel nulla i numerosi «mi piace» che li accompagna­vano. Tuttavia la guardia di Finanza aveva già un dossier completo delle accuse incriminat­e. I dati raccolti sono finiti nel fascicolo ereditato dal pubblico ministero Giorgio Falcone che sta portando avanti l’inchiesta penale.

L’obiettivo è capire se qualcuno avesse esagerato con quegli insulti, se ci sia stata una volontà determinat­a ad annientare l’uomo sul piano personale tale da portarlo a togliersi la vita. Intanto però l’azienda non ce l’ha fatta. Per oltre un anno la moglie di Ruzzarin ha tenacement­e provato a far funzionare le cose, portando avanti i lavori e i progetti del marito. Ma a un certo punto il peso è diventato troppo grande e ha deciso lei stessa di depositare i libri contabili in tribunale. E mentre attende che si faccia giustizia per il marito, il 16 marzo prossimo è stata fissata l’udienza in tribunale per esaminare lo stato passivo dell’azienda e stabilire le priorità nei pagamenti e nelle liquidazio­ni.

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Attacco social La schermata di Facebook che permette di connetters­i a migliaia di persone

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