Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
ATENEI LA SFIDA DEL 4.0
L’industria 4.0 vorrebbe associarsi all’università 2.0. Fuori metafora, mentre l’innovazione spinge in avanti l’industria, l’università non può rimanere al palo. Le imprese tornano a investire all’attacco, innovando i prodotti per entrare in nuovi mercati, non per trincerarsi in difesa riducendo i costi. E una volta sul veicolo dell’industria 4.0, si potrà spingere fino in fondo l’acceleratore dei progetti che rivoluzionano il modo di fare impresa, coniugando gli investimenti materiali in impianti, macchine e attrezzature arricchite dalle tecnologie digitali con gli investimenti nelle attività intangibili, quali la ricerca e sviluppo, il software, le banche dati, le creazioni artistiche, il design, i marchi e i processi aziendali. Sono proprio questi investimenti nelle idee che allargano le opportunità. Infatti, pur se protette, le idee escono dal recinto alzato dalla proprietà intellettuale per librarsi liberamente, così recando vantaggi anche a persone e gruppi diversi dagli scopritori. Il conoscere e l’ideare sono giocatori in campo nel torneo mondiale dell’economia dell’abbondanza. In questo campionato che potremmo definire di «attività intellettuale», il team italiano non primeggia. In percentuale del Pil, gli investimenti tangibili sono circa il doppio di quelli immateriali, quasi come in Germania. Negli Usa e nel Regno Unito, questi ultimi hanno sopravanzato i primi. In Francia, sono alla pari. Sono uscite dal tunnel della crisi le imprese venete che hanno accettato e vinto la sfida della discontinuità tra l’universo industriale di ieri e il nuovo all’orizzonte.
Èora maturo il tempo per riforme rivoluzionarie da attuarsi nel mondo accademico, preziosa sorgente di idee per l’imprenditorialità in movimento. Sulla strada da imboccare molto ha ancora da suggerirci Luigi Einaudi. Se ancora in vita, quel grande pensatore rivoluzionario e utopista ripeterebbe quanto ebbe a scrivere nelle sue «Prediche inutili», frutto della sua collaborazione con il Corriere della Sera. Egli direbbe che l’industria 4.0 reclama un moto intellettuale di profondo cambiamento dell’università. Un movimento innescato dal disfarsi del mito del valore legale del titolo di studio che crea «disoccupati intellettuali». Parafrasando un suo pensiero, potremmo aggiungere che non hanno bisogno di un bollo statale i giovani usciti dalle botteghe rinascimentali dell’industria 4.0. Ciò che si richiede non è il valore legale dichiarato dallo stato, «ma disordine, varietà, mutabilità, alegalità dei diplomi rilasciati dall’università». Riandando alle parole delle sue «Prediche», università 2.0 vuol dire libertà accademica nel senso che non vi sono Consigli superiori che riconoscono la nascita di discipline nuove. Le scuole universitarie divengono laboratori sperimentali in cui si saggiano nuovi metodi didattici, e si tentano nuove vie alla ricerca scientifica, lasciando campo a tentativi ed errori. E ogni istituto universitario ha il diritto di scegliere non solo i professori, ma anche gli studenti. In breve, è il metodo della libertà che contraddistingue l’università 2.0, affinché essa possa fare coppia con l’industria 4.0.