Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mose, cresta sui cassoni: dieci sotto inchiesta
La procura ha chiuso le indagini: accusati di false fatture Zerbin (Clea) e i vertici di Condotte, Kostruttiva e San Martino
Dieci indagati nell’inchiesta sulla «cresta» di 500 mila euro, di cui metà veniva retrocessi in contanti, sui cassoni del Mose. La procura ha depositato gli atti: sotto accusa i vertici di Condotte e delle coop Kostruttiva, San Martino e Clea.
Era stata una delle società finanziatrici della campagna elettorale dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, una delle tre (insieme alla coop San Martino e alla Bosca) per le quali la Finanza aveva ricostruito una girandola di fatture sospette dal Consorzio Venezia Nuova: ma l’inchiesta per finanziamento illecito aveva solo «sfiorato» il suo presidente, mentre i legali rappresentanti delle altre imprese l’avevano affrontato. Ora però per Sandro Zerbin, veneziano, presidente della Clea – la quarta cooperativa delle costruzioni in Italia nel 2016 per dimensione, con 70 milioni di fatturato e quasi duecento dipendenti – rischia il processo per un filone bis del Mose. E con lui anche il presidente di Condotte, la terza impresa italiana del settore, Duccio Astaldi, e quello di Kostruttiva (l’ex Coveco, coinvolto pesantemente nell’inchiesta Mose con il suo predecessore Franco Morbiolo, indagato pure qui), Devis Rizzo, che in realtà pagano il fatto di aver firmato i bilanci e le dichiarazioni dei redditi delle rispettive aziende.
L’inchiesta è quel filone parallelo noto come «Mose 6» e riguarda la «cresta» fatta sui cassoni del Mose a Chioggia. Ora la procura di Venezia ha chiuso le indagini e si scopre che gli indagati sono 10, tutti accusati di reati fiscali, e cioè l’emissione e l’uso di fatture per operazioni parzialmente inesistenti. Secondo la ricostruzione dell’accusa – avallata dalle confessioni dei principali protagonisti – le imprese che hanno realizzato gli otto cassoni del Mose (gli enormi manufatti in calcestruzzo ancorati in fondo alla bocca di porto) avrebbero «gonfiato» i costi dai 7,6 milioni previsti inizialmente a 8,1, fingendo spese in più per 500 mila euro in modo da poterne retrocedere la metà (tasse escluse, come da prassi consolidata nel Cvn di quegli anni) come «fondi neri»: 250 mila euro in contanti che venivano divisi tra il referente di Condotte Stefano Tomarelli e quello del Coveco Pio Savioli. Siccome i cassoni sono stati otto, le false fatture sarebbero per complessivi 4 milioni di euro.
Sul registro degli indagati sono dunque finiti in dieci: Savioli, Morbiolo e Rizzo (per quel che riguarda le sole dichiarazioni successive al suo insediamento nel 2014, dopo gli arresti del 4 giugno) per il Coveco-Kostruttiva; Astaldi, Tomarelli e Antonio Picca per Condotte; Zerbin per Clea; Andrea Boscolo Cucco, Remigio Boscolo Sale e Luca Tironi (per questi ultimi due vale il discorso di Rizzo, essendosi insediati il primo nel 2014, il secondo nel 2016) per la coop San Martino. I capi d’imputazione sono 32, perché la «cresta» è spacchettata in più accuse per la complessità formale dei lavori a Chioggia: i cantieri sono infatti in carico alla società consortile Clodia, composta all’80 per cento da Condotte, al 19 per cento da Kostruttiva e all’1 per cento da San Martino, che poi ha appaltato i lavori a quest’ultima e alla Clea, che hanno creato una seconda consortile dal nome «Mose 6».
Dell’inchiesta si era saputo il 7 luglio 2016, quando Savioli, interrogato in tribunale nel processo Mose, si rifiutò di rispondere sul tema a un legale, parlando di un’inchiesta in corso. In realtà c’erano già state delle perquisizioni un mese prima, disposte dal pm Stefano Ancilotto ed eseguite dalla Finanza nelle sedi di tutte le società coinvolte. Tomarelli aveva ammesso di aver ricevuto 160 mila euro ogni cassone, tenendone 30-35 mila per sé e il resto per l’allora presidente Paolo Bruno (già deceduto). Savioli ha invece confessato di essersi tenuto 100 mila euro complessivi, versandone buona parte del resto al Pd per le campagne elettorali.