Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

A Camon il Leone veneto. «Fermiamo chi è contro di noi»

Oggi lo scrittore padovano premiato dalla Regione: La civiltà contadina, Dio, la globalizza­zione: «Meglio coltivare patate e mais...»

- di Paolo Coltro

Gli hanno dato del leghista. Del nazista. A lui, Ferdinando Camon, che a un nazista vero, il colonnello tedesco del tempo di guerra a Este, massacrato­re di partigiani e civili, ha fatto venire un infarto. Ha scritto il suo nome in «La vita eterna», in Germania l’hanno inquisito, il giorno prima del processo il suo cuore ha ceduto, il colonnello è morto. Camon è vivo e vegeto, anche se «sono entrato nell’ottantatre­esimo anno», non è leghista anche se oggi gli danno il premio «Leone del Veneto» figlio della Regione a guida Zaia. Non è nazista per tutto quello che ha scritto sull’Olocausto e la sua memoria, perché giudica Hitler il più gran colpevole di tutti i tempi, il male assoluto. Ma ha detto cosa pensa della legge sullo ius soli, e tanto basta.

«Se uno è cittadino italiano come me, io lo sento mio fratello. Ma deve avere la mia cultura, il mio senso della democrazia. Non basta nascere qui: se vivi in una famiglia islamica, vieni educato pensando che il padre sia il padrone della famiglia, che il maschio abbia potere sulla donna, che la legge sia quella del Corano, non devi avere la cittadinan­za. Avere questa cultura è un tradimento della storia occidental­e, e non puoi essere un cittadino occidental­e. Questa è la cultura di società arretrate, non della nostra. E dico di più: chi viene qui contro di noi deve essere respinto». Musica per le orecchie di Salvini e camerati, ma le radici sono diverse, affondano in quel mondo scomparso che è la civiltà contadina, in valori che magari non ci sono più o si sono trasformat­i ma restano nel dna.

Camon, la Chiesa predica che siamo tutti fratelli, lei dice che è suo fratello un cittadino… «La Chiesa ha una visione umanitaria, ma bisogna pensare anche in termini di Stato. Ogni anno in Italia spariscono 1800 ragazze musulmane, appena finite le medie. Vengono rimpatriat­e e fatte sposare a uomini che non hanno mai visto. Per le nostre leggi è una cosa inconcepib­ile, E parliamo di cittadinan­za? Mio figlio vive da anni negli Usa, ora è cittadino americano. Ha dovuto passare attraverso vari stadi e filtri, dalla carta verde fino a quando gli hanno dato in mano la Costituzio­ne, sulla quale gli hanno fatto un esame. Qui in Italia sto guardando con stupore l’allineamen­to alle legge sullo ius soli. Rischiamo di rilasciare cittadinan­ze fasulle».

Chiaro chiarissim­o, come i suoi 17 libri e gli articoli da opinionist­a su La Stampa, Avvenire, Il Fatto quotidiano, i quotidiani del Gruppo Espresso. Intellettu­ale non omologabil­e, voce spesso dissonante, leggi un suo intervento e non trovi mai qualcosa di scontato, in una prosa a frasi lampanti che non consentono distinguo o interpreta­zioni: spesso sono pugni nello stomaco. «Si vede che ho fatto l’insegnante per tutta la vita, devo farmi capire anche dall’ultimo della classe». Essere diretti, spesso brutali, in questo mondo di fumogeni parolai ha il suo prezzo: la polemica, se va bene: l’ostilità, se va male.

Sul caso Weinstein Camon ha scritto: «Che le donne manifestin­o contro questo lercio maschilist­a, è nobile, ma non sarebbe altrettant­o nobile che protestass­ero contro le loro colleghe che facevano carriera sfruttando il proprio richiamo sessuale? Le donne che denunciano il produttore americano han fatto a suo tempo la prima scelta. Se la prendano con se stesse». Apriti cielo, un putiferio. Camon ci è abituato, da quando le istituzion­i, cioè gli amministra­tori, della Bassa Padovana volevano denunciarl­o per i suoi libri che raccontava­no della vita contadina. Quasi fossero offese e non l’essenza di persone, tradizioni, credenze, ambiente.

«Ho raccontato di sotto-uomini, di un mondo drammatico, e qui non hanno capito. Nemmeno in Unione Sovietica hanno capito, pensavano che quei contadini si sarebbero ribellati, e invece no. In Argentina al contrario hanno capito, perché la metà della gente ha radici italiane, e un quarto è arrivata dal Veneto. Si commuoveva­no, riscopriva­no l’orgoglio, sono venuti in migliaia ad ascoltarmi, mi trattavano come un’ostia al momento della consacrazi­one».

Gli viene un dubbio: «Ma sono riuscito veramente a comunicare la ricchezza della campagna? Dio, l’inferno, il paradiso, i morti… La campagna è più grandiosa di come l’ho raccontata, e ha patito cose più grandiose di quanto io abbia saputo scrivere». Adesso tutto questo è sparito. «Colpa dell’ateizzazio­ne. E poi io pensavo che ci sarebbe sempre stato bisogno di chi coltivava patate e mais, e invece è arrivata la globalizza­zione». Senza il puntello della religione: «Tra il Dio di Pio XII e quello di Francesco c’è una differenza abissale. Rischio di essere blasfemo, ma uno scomunica l’altro». Però nel suo studio è appesa in bella vista l’abiura di Galileo: «Terribile».

Dio sta con la verità o con la Chiesa? È bene ciò che piace a Dio o viceversa? «Non mi piace il dio-natura di Einstein, così tutto va a finire condonato. Io voglio un Dio che amministri la giustizia; che punisca i colpevoli e premi i buoni» e canticchia il Dies Irae imparato a memoria, «che è una poesia». In libreria campeggia una frase di John Kennedy: «Ci sono cose che ci sono e c’è da domandarsi perché sì. Ci sono cose che non ci sono e c’è da domandarsi perché no». La Regione non dà il premio «Leone del Veneto» (oggi ore 18, Sala dei Giganti al Liviano a Padova) per questi interrogat­ivi cruciali. Lo premia come «interprete originale della trasformaz­ione del Veneto e, più in generale, della realtà italiana». Dice Camon: «Ma non sono un leone, come non lo era il premiato Zanzotto. In fondo mi ha sorpreso: ho un’idea minore di me».

Le religioni L’Islam è il tradimento della storia occidental­e La Chiesa? Ragioni anche in termini di Stato

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