Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Cassoni del Mose, i soldi in busta»

Cresta sui lavori, le nuove carte dell’inchiesta. «Per i contanti lascia stare ci penso io» Gli imprendito­ri intercetta­ti, gli scambi di denaro in auto. «La finanza non ci troverà mai»

- Zorzi

«Qui la Finanza non ci troverà mai», diceva Pio Savioli, referente delle coop. In un’osteria lungo la A1 avveniva lo scambio delle buste di denaro, la «cresta» sui cassoni del Mose. Il nuovo filone d’inchiesta si è chiuso nei giorni scorsi, con la notifica ai 10 indagati: secondo l’accusa, per ogni cassone a Chioggia, Savioli e il referente di Condotte, Stefano Tomarelli, prendevano 250 mila euro in nero e per questo il costo era «gonfiato» di mezzo milione, da 7,6 a 8,1 milioni. E Sandro Zerbin, presidente della coop Clea avrebbe detto: «Lascia stare, ci penso io».

«Io ho detto: “Guarda Zerbin, io combino i cassoni 8 milioni e 100, ti sta bene a te farli?”, e lui mi ha detto: “Sì, 8 milioni e 100 mi stanno bene, però bisogna dare 250 a questi”. Io gli ho detto: “Guarda che mi trovo in difficoltà a reperire il denaro da dare a loro”. Lui ha detto: “Lascia stare, ci penso io”». E’ il 3 settembre 2013 e Mario Boscolo Bacheto, legale rappresent­ante della coop San Martino arrestato due mesi prima nell’inchiesta che portò in carcere l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurat­i, viene interrogat­o dal pm Paola Tonini. L’indagine è quella su una turbativa d’asta al Porto, ma è un piccolo pezzetto: gli inquirenti hanno già in mano il quadro generale delle mazzette legate al Mose, che esploderan­no con gli arresti del 4 giugno 2014. E anche di quelle sui cassoni di Chioggia, il cosiddetto filone «Mose 6», di cui – dopo che il pm Stefano Ancilotto si è dedicato per tre anni al maxi-processo – è stato notificato l’avviso di chiusura dell’inchiesta a una decina di indagati per reati fiscali per le fatture gonfiate.

Mario Boscolo, morto nel 2015, ammette quello che oggi dicono gli inquirenti. Cioè che i cassoni di Chioggia, che la consortile Clodia (formata da Condotte e dall’allora Coveco, oggi Kostruttiv­a) aveva subappalta­to alla «Mose 6» (formata dalle coop Clea e San Martino), sarebbero dovuti costare 7,6 milioni di euro l’uno, ma che si fece una trattativa per alzare il prezzo a 8,1 milioni in modo da avere un extra di 500 mila euro da cui recuperare 250 mila «in nero» da retroceder­e a Stefano Tomarelli e Pio Savioli, rispettiva­mente referenti di Condotte e Coveco, che l’hanno confessato. A fornire i soldi in nero, secondo Boscolo, Tomarelli e Savioli, sarebbe stato Sandro Zerbin, presidente della Clea, la quarta cooperativ­a italiana del settore delle costruzion­i con 70 milioni di fatturato e 200 dipendenti. Inizialmen­te gli inquirenti avevano ipotizzato addirittur­a una concussion­e da parte della coppia Tomarelli-Savioli (o

paghi o non ti affido i lavori), ma quella tesi è caduta perché non si è potuto attribuire loro il ruolo di pubblici ufficiali e dunque sarebbe stata una corruzione tra privati.

Lo stesso Zerbin, peraltro, interrogat­o il 25 luglio 2013, ammette due consegne a dicembre 2010 («una busta con 40 o 50 mila euro») e nel maggio 2011 («due buste, la mia conteneva 50 mila euro, quella della San Martino presumo fosse di pari importo»), peraltro ben note alla Finanza che le aveva monitorate. «Entrambe le dazioni sono da collegare all’effettuazi­one dei lavori di costruzion­e dei cassoni», chiosa Zerbin. «Credo che Zerbin abbia... non so se aumentato il prezzo del ferro che aveva all’interno dei cassoni del Mose o se abbia aggiunto della quantità di ferro... però tramite queste fatturazio­ni riusciva a recuperare i contanti», aggiunge Stefano Boscolo Bacheto, figlio di Mario e pure lui coinvolto nell’inchiesta Mose e interrogat­o sempre il 3 settembre 2013.

La Finanza ha ricostruit­o diverse consegne, ma ce ne sono due di più pittoresch­e, a cui fa riferiment­o anche Zerbin. La prima è del 14 dicembre 2010. Zerbin e Savioli partono da Chioggia e vanno in autostrada verso Firenze. «Dove mangiamo?», chiede il primo. «In un posto di uno squallore spaventoso... credo che la Finanza qui non ci troverà mai...», replica il secondo, intercetta­to dalla cimice in auto. I due si fermano a un’osteria vicino a Sasso Marconi, dove incontrano Tomarelli. Zerbin entra nella sua auto e lascia un plico. In diretta video è invece la seconda dazione, il 18 maggio 2011, sempre nella stessa osteria. I tre entrano nell’auto di Tomarelli, dove le fiamme gialle hanno piazzato una telecamera, e si vede Zerbin che sfila da una borsa del computer due buste bianche, che infila sotto il sedile. Quando Tomarelli riparte, a causa di una frenata, le buste avanzano e la telecamera le riprende, prima che lui tiri avanti il sedile per occultarle. Quando arriva a destinazio­ne ci mette sopra la borsa e le infila dentro.

Boscolo Gli dissi che avevo difficoltà a trovare i contanti. Zerbin mi rispose: ci penso io L’ipotesi L’imprendito­re: Zerbin ha aumentato il prezzo del ferro o ne ha aggiunto di più

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