Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Stacchio, Mattielli, Birolo: casi «simili» verdetti diversi

La politica, a destra, chiede modifiche. Calderoli: «Dalla parte di chi si difende»

- Di Alessandro Macciò

Sulla sentenza non si discute. La condanna in primo grado di Walter Onichini, semmai, riapre il dibattito sui confini della legittima difesa, anche alla luce dei precedenti che hanno coinvolto Ermes Mattielli (morto dopo la condanna in primo grado), Franco Birolo (in foto, assolto in secondo grado) e Graziano Stacchio (assolto subito). Su Facebook il clima è incandesce­nte: «Adesso si va davanti alla casa del giudice», si legge sul gruppo pro-Onichini. La vicenda scalda anche la politica: «Tra chi difende la propria casa e chi la aggredisce sto sempre dalla parte del primo», commenta il vicepresid­ente del Senato Roberto Calderoli. Le toghe invece si dividono tra chi invoca l’intervento del legislator­e e chi vuole conservare lo status quo. Guido Papalia, ex procurator­e capo di Verona, si iscrive al secondo partito: «La legge tutela a sufficienz­a gli interessi di tutte le parti in causa, non c’è bisogno di riforme. Chi cerca di cavalcare sentimenti legittimi di paura e di tensione con finalità diverse dall’accertamen­to della verità va condannato». Sul caso specifico, Papalia è categorico: «Le indagini hanno accertato che non c’è stata legittima difesa ma attentato alla vita, non c’era l’esimente che consente di giustifica­re l’aggression­e. Non deve passare il concetto che si può sparare senza conseguenz­e penali solo perché qualcuno è entrato nel mio giardino». Antonio Fojadelli, ex procurator­e capo prima a Vicenza e poi a Treviso, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Quando si mette mano a leggi di questo tipo si fanno solo danni, la soluzione migliore è affrontare ogni caso sotto il profilo giurisprud­enziale cercando sempre un equilibrio. Allargare troppo le maglie della legittima difesa può portare agli eccessi che si riscontran­o in altri paesi». Sulla vicenda di Onichini pesa quello che è avvenuto dopo la sparatoria: «La sentenza può sembrare pesante, ma anche l’incolumità del malfattore va tutelata. Nella mia carriera ho affrontato un paio di vicende simili, compresa quella di un gioiellier­e che ha ucciso un ladro armato. In quel caso non ho neppure aperto il fascicolo perché la scriminant­e della legittima difesa era evidente: l’opinione pubblica apprezzò, ma all’interno del mio ambiente ci furono parecchie critiche». Felice Casson, ex magistrato e senatore di Liberi e Uguali, solleva un’obiezione: «Il tribunale ha dato un’interpreta­zione basata sul codice Rocco, chi contesta queste norme è stato al governo ma non ha approfitta­to per cambiarle. La legge dice che la difesa deve essere proporzion­ata all’offesa e che la vita prevale sulla roba, chi non è d’accordo poteva cambiare questa impostazio­ne e non l’ha fatto». Maurizio Paniz, avvocato ed ex deputato di Forza Italia noto per aver risolto il caso Unabomber, non raccoglie la provocazio­ne: «È vero che la legge si poteva cambiare, ma mancavano i numeri e c’è stata solo qualche correzione. La norma resta imprecisa e incerta, perché consente di scivolare facilmente verso la condanna o l’assoluzion­e. Il punto debole è proprio la proporzion­e tra difesa e offesa, perché spesso chi subisce un’aggression­e non è lucido e non è in grado di fare valutazion­i: bisogna rafforzare la norma partendo dal concetto che non bisogna entrare in casa altrui. Ora siamo a fine legislatur­a e resta solo il tempo per la legge di stabilità, ma col nuovo governo ci saranno i presuppost­i per una riforma». Per Paniz la condanna di Onichini è appropriat­a: «I giudici hanno riconosciu­to un atto di disumanità che annulla la prima parte dell’azione. Purtroppo gli episodi sono così numerosi e rilevanti che i cittadini non ne possono più e che si arriva anche a condotte con questi epiloghi». Per Carlo Nordio, ex procurator­e aggiunto di Venezia, la legge va cambiata in quanto anacronist­ica: «Presumo che la sentenza sia conforme, il tribunale si è limitato ad applicare la legge. E il problema è proprio che la legge risale ai tempi del fascismo, quando c’era uno Stato autoritari­o che voleva avere il pieno controllo dei diritti naturali e che quindi imponeva ai cittadini i limiti entro cui difendersi. Lo Stato liberale, invece, dovrebbe porsi il problema dei limiti entro cui può punire chi si è difeso da un’aggression­e che lo Stato non è riuscito ad impedire, e di cui dunque lo Stato è il primo colpevole». Al coro di Nordio e Paniz si unisce anche Maria Elisabetta Casellati, ex senatrice di Forza Italia e componente del Csm: «Trovo assurdo che dalla legittima difesa si possa passare al reato, l’istituto va riformato e reso più dettagliat­o».

Papalia La legge tutela a sufficienz­a gli interessi di tutte le parti, non c’è bisogno di riforme

Nordio Lo Stato è il primo colpevole delle aggression­i che non riesce a impedire

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