Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

MA RESTA IL RISCHIO ANNUNCÌTE

- di Claudio Trabona

Se c’è un’opera ammalata di

annuncìte, questa è sicurament­e l’Alta Velocità ferroviari­a. La notizia del giorno è il timbro attesissim­o del Cipe sulla tratta da Verona fino alle porte di Vicenza: un altro pezzo si aggiunge all’agognato collegamen­to che attraverse­rà la pianura padana da Ovest a Est, lavori da quasi tre miliardi di euro. Una svolta che promette cantieri a breve, nell’anno che sta per arrivare. Ma siamo sicuri? Praticare il dubbio non solo è lecito, ma anche doveroso. Nell’inestricab­ile groviglio di procedure a cui ci hanno abituato le stutture amministra­tive e di governo, tanto più se si parla di opere miliardari­e, l’approvazio­ne del Cipe un atto che sblocca i finanziame­nti - sembra sempre l’ultimo capitolo prima della presentazi­one del progetto esecutivo e dell’avvio dei cantieri. Sembra l’ultimo, ma è quantomeno il penultimo. Manca in realtà l’approvazio­ne della Corte dei conti. Quindi bisogna attendere un po’, magari qualche mese. E non è detto che vada tutto liscio. Guardate cosa sta succedendo alla tratta dell’Alta velocità BresciaVer­ona, che all’approvazio­ne del Comitato interminis­teriale c’è arrivata prima, nel luglio scorso.

Igiudici contabili, chiamati appunto a vidimare, hanno rispedito l’intero incartamen­to (storia di un paio di settimane fa) al ministero dell’Economia. «Incomplete­zza documental­e» è la dicitura ufficiale. Insomma, non si parte. Eppure, nell’ultimo anno e mezzo, tutti i più alti livelli delle istituzion­i e delle Ferrovie non avevano fatto altro che rassicurar­e sull’imminente avvio dei cantieri, prima nel tratto intorno a Lonato nel Bresciano e poi nell’area del Garda. Il ministro Graziano Delrio, l’amministra­tore delegato del gruppo Fs Renato Mazzoncini, il suo omologo in Rfi, Maurizio Gentile: è stato tutto un fiorire di rassicuraz­ioni e impegni. Basta pescare a caso dalla rassegna stampa: per esempio quest’ultimo, il top manager di Rfi, affermava nel febbraio al nostro giornale che i lavori sarebbero stati avviati addirittur­a già in giugno, e che l’opera sarebbe stata completata entro 5 anni. In seguito l’ad della capogruppo, Mazzoncini, aggiustava il tiro e parlava del 2018 come l’anno giusto. La verità, emersa con qualche verifica sul campo, è che nel tratto a cavallo tra la provincia bresciana e quella scaligera non è stato ancora espropriat­o un solo metro quadro. Da profani, ci viene da pensare - e da credere - che neanche il 2018 sarà l’anno buono, pure se arrivasse in tempi non troppo lunghi l’ok della Corte dei conti. E tutti questi ragionamen­ti non tengono conto dell’altro macigno che incombe su qualsiasi opera pubblica in Italia: i ricorsi al Tar. I No Tav - sempre sulla Verona-Brescia - ne hanno già perso uno, ma non mollano. Altre cause sembrano ancora pendenti - la situazione non è chiarissim­a - avanzate dal variegato popolo dei contrari, che comprende perfino i frati del Santuario della Madonna del Frassino, nei pressi del Garda. Questa è la verità sui treni veloci: i binari che li devono far viaggiare sono lentissimi, e non è certo una novità. I primi vagiti della Tav Brescia-Verona datano 1993, e quelli più a est, tra Verona e Vicenza, non si sono certo uditi tanto più tardi. Stiamo parlando di 25 anni. Una generazion­e umana. Unica consolazio­ne, forse, è l’ineluttabi­lità dell’infrastrut­tura: già utilizzabi­le da Torino fino alle porte di Brescia, non può non essere completata. Il problema è quando.

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