Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
MA RESTA IL RISCHIO ANNUNCÌTE
Se c’è un’opera ammalata di
annuncìte, questa è sicuramente l’Alta Velocità ferroviaria. La notizia del giorno è il timbro attesissimo del Cipe sulla tratta da Verona fino alle porte di Vicenza: un altro pezzo si aggiunge all’agognato collegamento che attraverserà la pianura padana da Ovest a Est, lavori da quasi tre miliardi di euro. Una svolta che promette cantieri a breve, nell’anno che sta per arrivare. Ma siamo sicuri? Praticare il dubbio non solo è lecito, ma anche doveroso. Nell’inestricabile groviglio di procedure a cui ci hanno abituato le stutture amministrative e di governo, tanto più se si parla di opere miliardarie, l’approvazione del Cipe un atto che sblocca i finanziamenti - sembra sempre l’ultimo capitolo prima della presentazione del progetto esecutivo e dell’avvio dei cantieri. Sembra l’ultimo, ma è quantomeno il penultimo. Manca in realtà l’approvazione della Corte dei conti. Quindi bisogna attendere un po’, magari qualche mese. E non è detto che vada tutto liscio. Guardate cosa sta succedendo alla tratta dell’Alta velocità BresciaVerona, che all’approvazione del Comitato interministeriale c’è arrivata prima, nel luglio scorso.
Igiudici contabili, chiamati appunto a vidimare, hanno rispedito l’intero incartamento (storia di un paio di settimane fa) al ministero dell’Economia. «Incompletezza documentale» è la dicitura ufficiale. Insomma, non si parte. Eppure, nell’ultimo anno e mezzo, tutti i più alti livelli delle istituzioni e delle Ferrovie non avevano fatto altro che rassicurare sull’imminente avvio dei cantieri, prima nel tratto intorno a Lonato nel Bresciano e poi nell’area del Garda. Il ministro Graziano Delrio, l’amministratore delegato del gruppo Fs Renato Mazzoncini, il suo omologo in Rfi, Maurizio Gentile: è stato tutto un fiorire di rassicurazioni e impegni. Basta pescare a caso dalla rassegna stampa: per esempio quest’ultimo, il top manager di Rfi, affermava nel febbraio al nostro giornale che i lavori sarebbero stati avviati addirittura già in giugno, e che l’opera sarebbe stata completata entro 5 anni. In seguito l’ad della capogruppo, Mazzoncini, aggiustava il tiro e parlava del 2018 come l’anno giusto. La verità, emersa con qualche verifica sul campo, è che nel tratto a cavallo tra la provincia bresciana e quella scaligera non è stato ancora espropriato un solo metro quadro. Da profani, ci viene da pensare - e da credere - che neanche il 2018 sarà l’anno buono, pure se arrivasse in tempi non troppo lunghi l’ok della Corte dei conti. E tutti questi ragionamenti non tengono conto dell’altro macigno che incombe su qualsiasi opera pubblica in Italia: i ricorsi al Tar. I No Tav - sempre sulla Verona-Brescia - ne hanno già perso uno, ma non mollano. Altre cause sembrano ancora pendenti - la situazione non è chiarissima - avanzate dal variegato popolo dei contrari, che comprende perfino i frati del Santuario della Madonna del Frassino, nei pressi del Garda. Questa è la verità sui treni veloci: i binari che li devono far viaggiare sono lentissimi, e non è certo una novità. I primi vagiti della Tav Brescia-Verona datano 1993, e quelli più a est, tra Verona e Vicenza, non si sono certo uditi tanto più tardi. Stiamo parlando di 25 anni. Una generazione umana. Unica consolazione, forse, è l’ineluttabilità dell’infrastruttura: già utilizzabile da Torino fino alle porte di Brescia, non può non essere completata. Il problema è quando.