Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«La principessa l’ha comprata qui ma non è una spilla razzista»
SCANDALO A CORTE TABLOID FUORI STRADA Critiche ai reali inglesi, il gioielliere di San Marco: «Comprata qui»
La storia della spilla «Blackamoore» che ha fatto infuriare il web anglosassone contestata da Nardi, gioielliere di piazza San Marco. Indossata al pranzo di Natale a Buckingham Palace dalla principessa del Kent, non sarebbe un simbolo razzista bensì un classico della gioielleria veneziana: un principe moro.
Una «tragedia» inglese scritta attorno a un moro. Nel calcare le orme di Shakespeare e del suo «Otello» si sono cimentati negli ultimi giorni i giornali di mezzo mondo, provocati dai media anglosassoni di entrambi i lati dell’Atlantico: il moro in questione non è il protagonista, come il generale veneziano dell’antecedente scespiriano, ma l’oggetto del contendere, raffigurato su una spilla. A muovere l’azione è Marie Christine von Reibnitz, principessa del Kent, che ha sfoggiato il prezioso accessorio a Buckingham Palace per il pranzo di Natale di Sua Maestà la regina.
Le critiche arrivano dai social: «gioiello razzista», «offensivo», «ispirato alla schiavitù», collegandolo al colonialismo in Africa, esacerbate dalla presenza della fidanzata di Harry, Meghan Markle, di madre afroamericana. La reale protagonista della «gaffe» si è scusata ufficialmente tramite un portavoce, promettendo di non indossare più l’accessorio incriminato. Ma l’opera del Vate di Stratford ha un altro elemento in comune con la cronaca di questi giorni, l’ambientazione: Venezia, dove Otello serviva come generale della Serenissima e da dove la spilla messa alla gogna proviene. Più precisamente dal cuore della città, Piazza San Marco. Qui ha sede la storica gioielleria Nardi, che dagli anni ‘30 del Novecento produce preziosi decorati con «moretti», come souvenir di lusso orientaleggiante, sulla scorta della moda ottocentesca delle «Turquerie». «La spilla in questione è nostra quasi sicuramente, anche se la principessa non l’ha comprata direttamente da noi – si tratta probabilmente di un regalo, ndr -: un gioiello razzista? Niente affatto: il personaggio raffigurato è un principe moro, tanto che siamo soliti chiamarla ‘Otello, il moro di Venezia’ », commenta Alberto Nardi, titolare della bottega: tiene a precisare che di esotismo si tratta, e che il razzismo non c’entra nulla. «Si sono scritte enormi baggianate e devo difendere l’oggetto pieno di storia e significato legati a Venezia, e ai suoi rapporti con l’Oriente, al di là del comportamento della principessa del Kent», precisa Nardi. E continua: «È un oggetto agli antipodi rispetto al colonialismo cui è stato legato dai giornali inglesi, denigrando il lavoro della nostra azienda: la spilla rappresenta un principe, basta guardare gli abiti che indossa». Niente condizione servile né rappresentazione di africani, insomma, come alcuni giornali inglesi avevano titolato: «Neppure i lineamenti del volto c’entrano con l’Africa, il legame è con l’Oriente, casomai con la Turchia, visto che è un oggetto veneziano», aggiunge Nardi in riferimento ai rapporti commerciali di Venezia con gli ottomani. I gioielli di questo tipo sono stati indossati da icone come Elizabeth Taylor e Grace Kelly. «Fino a dieci anni fa tutti li portavano senza problemi, ci sono molti collezionisti che continuano a comprarli in forma di spille, anelli o pendenti: per noi sono souvenir di lusso di Venezia. Teniamo a dire che si tratta di pezzi eccellenti di artigianato veneziano, non si possono liquidare senza cultura, senza sapere nulla. Mi sembra superficiale bollarli come razzisti sulla base del colore della pelle del personaggio rappresentato», chiarisce Nardi.
E conclude: «Abbiamo partecipato a Luxus, la mostra nel padiglione di Venezia alla Biennale, gioielli simili erano esposti lì e sono stati visti da circa 250 mila persone senza polemiche. Li ha visti anche il sindaco di San Paolo, venuto dal Brasile, e nessuno ha detto che si stesse denigrando qualcuno. Per noi sono souvenir di lusso di Venezia: lo facciamo a mano in 20 giorni è un pezzo eccellente di artigianato veneziano, non si può liquidarlo senza cultura, senza sapere nulla. Mi sembra superficiale», chiarisce Nardi. Pierfrancesco Carcassi