Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Aziende venete, 2017 da prede «I gioielli creino poli globali»

Il caso Fedrigoni chiude un anno di vendite. Costa: «Partiamo dal food»

- di Federico Nicoletti

Acquisizio­ni estere, per il Veneto dei gioielli industrial­i un altro anno da prede. Il botto di Natale ha riguardato Fedrigoni, colosso scaligero della carta da 1,1 miliardi di euro di ricavi. Da tempo nei radar per un cambio di proprietà, dopo due quotazioni in Borsa abortite nel 2011 e 2014, e varie trattative, l’ultima con l’Edizione dei Benetton, data per chiusa a fine 2016 e invece trascinata­si e finita su un binario morto, alla fine è finita nel portafogli­o del fondo americano Bain Capital, già conosciuto in Veneto per la gestione di Ideal Standard, e che già fa sollevare i primi timori sul fronte della continuità aziendale. La chiusura dell’operazione arriva a pochi giorni dalla cessione dell’ultimo 30% delle caldaie Riello in mano ad Ettore Riello agli americani di Utc, che segna un passaggio storico per una delle dinastie industrial­i più note in Veneto.

Ma Fedrigoni è solo l’ultima delle operazioni di acquisizio­ne dall’estero di gioielli industrial­i veneti, che sono state tra i segni distintivi del 2017. In tutte le province. A Verona, dove a fine febbraio il gruppo della climatizza­zione Mcs, 30 milioni di fatturato, passa ai danesi di Dantherm, in mano al fondo svedese Procuritas. A giugno è la Anselmi di Roncade, nel Trevigiano, 11 milioni di ricavi nelle cerniere per porte, ad essere acquisita dai tedeschi della Simonswerk. Sono ancora i tedeschi della Miele a prendersi, sempre a giugno, la quota di controllo della trevigiana Steelco, gioiello tecnologic­o delle macchine di lavaggio per gli strumenti medici e di laboratori­o. Nello stesso mese tocca, stavolta nel Bassanese, all’Api della famiglia Brunetti, storica azienda dei tecnopolim­eri che aveva inventato il poliuretan­o per lo scarpone da sci del distretto di Montebellu­na, 50 milioni di ricavi, di cedere agli americani di Trinseo, costola della Dow Chemical. A luglio è la veronese Quarella, tra i leader mondiali di marmi e quarzi, finita in crisi, di esser acquisita dai cinesi di Best Cheer e di Rykadan, quotata ad Hong Kong, che da anni distribuiv­a i prodotti dell’azienda veneta.

Senza contare i casi di vendite-bis. Com’è per Permasteel­isa, il colosso trevigiano delle facciate continue dei grattaciel­i, acquisita nel 2011 dai giapponesi di Lixil ed ora rivenduta ad agosto ai cinesi di Grandland. O le sneaker di lusso della veneziana Golden Goose, che a gennaio il fondo americano Carlyle acquista da Ergon Capital.

A settembre è la Pavan di Galliera Veneta, nel Padovano, leader mondiale negli impianti industrial­i per molini, pasta secca, fresca e snack, 155 milioni di ricavi, ad esser ceduta ai tedeschi di Gea, quotata a Francofort­e, 4,5 miliardi di euro di ricavi. Caso nel caso, questo. I tedeschi sono alla terza acquisizio­ne in Veneto, in tre anni, di gioielli degli impianti dell’industria alimentare: nel 2015 prendono la vicentina Comas, 50 milioni di ricavi, specializz­ata negli impianti industrial­i per dolci e pizza; l’anno dopo tocca alla veronese Imaforni, 85 milioni, leader negli impianti per biscotti e cracker. Tre operazioni con cui i tedeschi mettono insieme un polo tutto veneto degli impianti alimentari, con soluzioni integrate, buttandosi in nuovi ambiti delle tecnologie alimentari per contrastar­e il rallentame­nto del core business degli impianti per il latte. Fatto che genera la domanda del perché debbano essere i tedeschi a creare queste soluzioni, mentre le singole società di casa nostra non siano in grado di immaginarl­e prima di essere fagocitate.

«Nella globalizza­zione o sei predatore o preda. Abbiamo bisogno di aggregator­i o almeno di campioni che si aggregano - ne trae il senso Giovanni Costa, docente di strategia d’impresa all’Università di Padova -. Per esempio nell’alimentare tre realtà veronesi come Veronesi, Bauli e Rana dovrebbero trovare il coraggio di unire le forze. Aziende in salute e in crescita, con strategie ben chiare. Ma la loro unione farebbe fare il salto, dando vita a un polo alimentare di forza mondiale. Ma di idee così in giro non se ne vedono». Conclusion­e che Costa tira anche per il Prosecco: «Fino a quando ci basterà aggiornare il record di bottiglie? L’esplosione va messa al servizio di una strategia che dia una prospettiv­a al settore. Come stan facendo alcuni aggregator­i tipo Masi e Lunelli».

Il turbine di vendite dei gioielli industrial­i in Veneto può essere accelerato dalla fase post-esplosione delle ex popolari, dalla riduzione delle alternativ­e bancarie? Comunque dal venir meno di Bpvi e Veneto Banca? «Che non mi paiono aver rischiato e investito su disegni imprendito­riali sani - replica Costa -. E in ogni caso gli attori sulla scena, da Unicredit a Intesa, da Friuladria a Banco Bpm e Bnl, sono tutti disposti a sostenere progetti industrial­i di alleanze tra gioielli industrial­i sani, che tra l’altro tutti cercano anche di suscitare. In un’epoca di tassi bassi sono le uniche operazioni che tutti ricercano. La mancanza di progetti non può esser imputata alle banche».

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