Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Una lite per i confini: la causa più lunga d’Italia
Ci sono voluti 45 anni per arrivare a una sentenza d’appello in una causa per i confini di un camping a Cavallino-Treporti, lungo la costa veneziana. La causa più lunga d’Italia: si era aperta nel 1973. Il ricorrente superstite: «Tutti gli altri, nel frattempo, sono morti».
È stato l’anno in cui Henry Kissinger è diventato segretario di Stato negli Usa e quello dei golpe in Grecia e Cile. Novella Calligaris vinceva il titolo mondiale degli 800 stile libero a suon di record, mentre la Juventus conquistava uno scudetto all’ultima giornata ma perdeva la finale di Coppa dei Campioni con l’Ajax. Alla guida dell’Italia ci fu la staffetta tra il governo Andreotti III e Rumor IV, Silvio Berlusconi era solo un costruttore milanese e Matteo Renzi sarebbe nato un paio d’anni dopo. Era il 1973 e sembra impossibile che si sia dovuti arrivare alla fine del 2017, cioè quasi 45 anni dopo, per mettere la parola «fine» (peraltro non definitiva perché c’è sempre la possibilità della Cassazione) a un contenzioso che gli stessi legali definiscono «la causa più vecchia d’Italia», tanto che si dice che la stessa Corte d’appello di Venezia sia stata richiamata da Roma per chiuderla al più presto. «Io sono l’ultimo rimasto, anche se allora affiancavo mia madre che fu la reale firmataria - racconta Renzo Ballarin, titolare del camping «Villa al Mare» di Cavallino-Treporti - Per il resto tutti quelli che hanno fatto ricorso sono morti».
Tutto parte dal 1966 e da quell’«aqua granda» che non solo colpì Venezia con la marea più alta mai registrata (194 centimetri sul livello del medio mare), ma anche le coste venete. E così a Cavallino-Treporti, dove l’acqua era risalita fino ai campeggi, un paio di anni dopo si decise di costruire un muretto per difesa da eventuali nuove mareggiate, a un centinaio di metri dal mare. L’opera fu costruita dal Consorzio di Bonifica del Basso Piave all’interno delle proprietà dei campeggi che già allora erano la caratteristica del litorale di Cavallino, ma la brutta sorpresa per i titolari arrivò con il blitz con cui l’anno dopo la Capitaneria di Porto avviò la procedura per demanializzare tutto il tratto di spiaggia fino al muro, «rubando» ai privati decine di migliaia di metri quadri, per un tratto di oltre 5 chilometri lineari. L’iter finì a metà del 1971 e i proprietari, nel 1973, avviarono le cause contro lo Stato per riavere quanto ritenevano fosse loro. Già solo per la sentenza di primo grado ci vollero 19 anni e nel 1992 il tribunale civile diede loro torto, affermando che lo Stato aveva operato correttamente. I privati fecero appello e molti di loro si rivolsero all’avvocato Antonio Forza, che nei giorni scorsi – dopo una montagna di rinvii tra tentativi di accordo, perizie e controperizie –, altri 25 anni dopo, ha portato a casa il successo insieme ai colleghi Flavio Tagliapietra, Ludovico Marco Benvenuti e Giorgio Orsoni. La tesi dei legali, con tanto di foto alla mano, andava a smentire quella della Capitaneria: quest’ultima diceva infatti che l’area del cosiddetto «demanio marittimo naturale» era quella, come prevede la norma, fino a dove arriva l’onda del mare, ma le foto dimostrano che per decine di metri di acqua non se n’è più vista dal 1966, tanto che sono piene di vegetazione e arbusti. Anche il perito della Corte d’appello si è detto d’accordo e così i giudici hanno ribaltato la sentenza di primo grado: «Non si riscontrano segni di corrosione sulla diga cementizia, dovuta all’azione del mare», è stata solo una delle osservazioni del tecnico Diego Rossetto, affiancata da molte altre a dimostrazione che l’acqua non aveva più superato la vecchia linea demaniale. «Questa causa ha condizionato la mia vita di imprenditore e non solo - commenta Ballarin, che oggi ha 68 anni prima lì c’erano 3 mila metri quadri di campeggio, poi abbiamo dovuto ingiustamente farne a meno». Fino al 2009, tra l’altro ci fu una vera e propria guerra con la Capitaneria, che spesso passava a sgomberare; poi ci si accordo per un regime di concessione con un affitto piuttosto contenuto. «Avremmo potuto chiedere i danni, ma nel 2009 ci eravamo impegnati a non farlo - conclude Ballarin Ora vedremo cosa fare nelle aree “nuove”. La speranza? L’abbiamo sempre avuta, ci credevamo».