Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
LA REGIONE DEGLI ESTREMI
Il Veneto che ormai si apre al 2018 ha la silhouette sociale di «Effetto domino», un romanzo del padovano Romolo Bugaro uscito due anni fa. Due anni fa, com’è noto, si cominciava tra molte macerie ad uscire da una crisi che aveva mangiato ricchezze, posti di lavoro e speranze. L’autore (un avvocato che ben conosce le traiettorie dei successi e dei fallimenti) attraverso un caso di fantasia racconta appunto di avventure aziendali ed imprenditoriali (e quindi squisitamente umane) che la crisi fa rovinare con la fragilità del cartongesso, trascinando giù (effetto domino appunto) bilanci aziendali, investimenti, amicizie (tradite dal fregarsi a vicenda), antropologie ciniche di soci e di capitani d’industria. Il risultato non è però facilmente apocalittico: alla fine, leccate le ferite contabili ed umane (inutile negarle), sedimentata la polvere dei tanti crolli, si riparte. Con minore grandeur, ma si riparte. Si riparte perché i personaggi (o perlomeno alcuni) sono uomini concreti che fanno parte di mondi concreti e vengono da storie concrete. Una concretezza fatta – dice il romanzo senza cadere in una certa retorica casereccia – di lavoro, impegno, fatica. È il Veneto degli estremi. Gli stessi estremi che esibisce nel suo territorio, quel suo mescolare gli orrori di una certa campagna urbanizzata ed industrializzata con il sublime dei paesaggi naturali e dei centri storici. Un territorio fratturato e spaesato – talvolta snaturato dalle trasformazioni della modernità - che convive spalla a spalla con luoghi di una bellezza radicale e radicata.
Dire che questo è il Veneto degli estremi significa riconoscere tre cose. La prima è che il Veneto è un territorio estremamente complesso. Distante dal Veneto lento e semplice di un tempo nemmeno tanto remoto di cui qualcuno, spaventato dal presente, ne coltiva una lacrimosa nostalgia. Complesso significa il comprendere, il racchiudere tante cose, tante realtà, tante dinamiche. È un Veneto sempre più plurale in cui complesso tende a diventare sinonimo di complicato. Ed è vero, il Veneto degli estremi è giocoforza un Veneto complicato. Da comprendere, talvolta anche da vivere. In cui viene spesso istintivo rifiutare il nuovo e le complessità che trascina. Tuttavia – per andare al secondo punto – una realtà complicata esige uno sguardo adeguato. Come le lenti vanno adattate all’occhio, così la nostra capacità di leggere le trasformazioni veloci di cui il Veneto è laboratorio in parte inconsapevole non può essere semplicistica o semplificatoria. Pena il non comprendere; pena il rifugiarsi nella nostalgia: nella retrotopia, come la chiama Bauman, dato che l’utopia (il futuro) non convince o fa paura. Il terzo punto è che, volenti o nolenti, l’estremizzazione del Veneto corre e si accentua. Il 2017 oggi concluso ha ben segnato questa mescolanza di contraddizioni forti.
Si pensi ad esempio all’identità, tema forte del dibattito ideologico e politico. In una regione di trincea come il Veneto, fortemente (ed efficacemente: vedi l’ottimo export di quest’anno o i dati brillanti sul turismo) dentro i flussi della globalizzazione (umana, mercantile, turistica) che sembra svuotare questo sfuggente concetto dell’identità, anche se – vedi gli ultimi dati dell’Istat – permaniamo la regione più dialettofona del paese dopo la Campania. Eppure si infiamma il dibattito sull’autonomia (che qualcuno legge o spera indipendenza) da Roma e magari perché no anche da Bruxelles mentre chi può l’autonomia se la trova silenziosamente altrove, come anelano i piccoli comuni «di frontiera». Anche l’economia si dicotomizza tra i numeri sostanziosi della ripresa e i sentimenti popolar-populistici che questa ripresa non la vedono, anzi la negano riproponendo i temi dell’impoverimento e della disuguaglianza. Il discorso delle banche «del territorio» (che hanno liquefatto cinque miliardi di euro di cui quattro delle famiglie) è avvilente ma anche utile per capire come il territorio non sia garanzia di niente, se è cannibalizzato da una finanza rapace ed incontrollata. E la stessa schizofrenia si propone per la demografia, scissa tra crollo delle nascite, invecchiamento e perfino spopolamento e rifiuto tout court dell’immigrazione e dello stesso ius soli. Con una diffidenza – dicono le indagini – che appare paradossale nel caso dei romeni, prima comunità presente in Veneto e leader di quel badantato che sorregge il nostro microwelfare familiare della longevità e della disabilità. E per la sicurezza il discorso si presenta analogo, stretti come siamo tra paure di una criminalità da affrontare con la licenza di uccidere alla James Bond e le statistiche giudiziarie in realtà assai più tranquillizzanti (è bello poter dire che oggi abbiamo il più basso tasso di omicidi degli ultimi cinque secoli!). Si potrebbe continuare. L’augurio che si può fare è che il Veneto non si sdrai, vittima del suo vittimismo, delle sue paure, dei suoi estremi, ma acquisti consapevolezza della sua forza. Nei termini del romanzo di Bugaro, della sua concretezza. Perché è questo l’asset, il vero valore aggiunto del Veneto.