Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Imprese indebitate «Dalla nuova legge un colpo di grazia»
Confartigianato: «Serve più ragionevolezza»
C’è un deciso cambio di passo che, con la legge delega del 19 ottobre 2017, viene chiesto alle piccole imprese in materia di controllo del proprio equilibrio finanziario. Il principio è sacrosanto: intende in primo luogo tutelare i creditori e, contestualmente, proteggere l’azienda dal rischio di avvicinarsi troppo alla soglia del default, attraverso un sistema di controllori esterni e di segnali d’allarme. Ma è anche una norma che, se verrà applicata attraverso gli attesi decreti attuativi in tempi troppo rapidi, può provocare l’effetto di espellere dal tessuto produttivo imprese che, pur con una certa scia di debiti, continuano a produrre un minimo di profitto e a sopravvivere.
L’allarme proviene dalla Confartigianato della Marca Trevigiana, che ha analizzato le possibili conseguenze per la Pmi della nuova disciplina legislativa in materia fallimentare. Semplificando al massimo la questione, fra il prima e il dopo l’entrata in vigore della norma, le differenze per un’azienda già indebitata potrebbero essere radicali (e letali), in particolare se chi avanza i soldi sono enti dello Stato come Inps o Agenzia delle Entrate.
Lo spiega Dario Marzola, consulente di Confartigianato Treviso: fino a ora, i creditori «pubblici» hanno sempre operato attraverso l’invio di cartelle e sollecitazioni ma senza intervenire direttamente sull’impresa, compromettendone l’esistenza stessa. Invece, quando la nuova legge sarà messa in pratica – al netto del fatto che ancora non sono noti i contenuti dei decreti attuativi – anche creditori di questa natura potranno rivolgersi a un soggetto di mediazione da insediare nelle Camere di Commercio (sul modello di Curia Mercatorum, per capirci) i quali, in tempi brevi, dovranno individuare un punto d’intesa fra le parti. Se la composizione non dovesse riuscire, rimarrebbe solo la segnalazione del debitore al tribunale, con il conseguente inizio di un percorso di concordato o addirittura del fallimento.
E quanti potrebbero essere i casi come questi? Numerosi, secondo Marzola: «Esiste una “fascia grigia” di piccole e piccolissime imprese che ancora funzionano, pur tallonate dalle legittime richieste del Fisco, e che hanno un problema congenito di estraneità assoluta rispetto a meccanismi di sorveglianza sulla dinamica delle proprie finanze. Ossia che non hanno mai istituito quegli “assetti organizzativi adeguati” di cui la legge chiede ora a tutte le aziende di dotarsi, a prescindere dalla loro dimensione».
Sono quelle imprese, cioè, da sempre abituate, in presenza di un indebitamento eccessivo, a rivolgersi agli istituti bancari, chiedendo una maggiore apertura dei fidi. Finendo poi con l’incolpare le stesse banche se, come accade sempre più spesso, proprio alla luce della fragilità patrimoniale del cliente, il credito viene rifiutato.
La mancanza di un approccio evoluto a temi quali il rapporto fra mezzi propri e mezzi di terzi, indici di liquidità, rotazione dei crediti e del magazzino, «è evidentemente un problema di tipo culturale – aggiunge Marzola – ma le maturazioni culturali non sono processi che avvengono rapidamente. È difficile dire se la riforma avrà successo e sarebbe ingeneroso demolirla solamente sulla base delle incongrue previsioni che abbiamo sottolineato. Ma confidiamo che queste possano trovare, magari con un nuovo Parlamento, un ragionevole assestamento».
Marzola Esiste un’ampia fascia grigia di Pmi