Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Niente arresti per Borile e Chinaglia ma il Riesame conferma tutti i reati

Nel mirino della procura le bollette gonfiate di Padova Tre per finanziare Ecofficina A breve comincerà un‘inchiesta per la bancarotta della società di raccolta dei rifiuti

- Angela Tisbe Ciociola

Avranno anche evitato il carcere, ma non per questo le posizioni dei cinque protagonis­ti dell’inchiesta sulla società dei rifiuti della Bassa, Padova Tre (fallita lo scorso anno), Simone Borile, Stefano Chinaglia, Stefano Tromboni, Gaetano Batocchio e Giampaolo Mastellaro, si alleggeris­cono. Anzi, il tribunale del Riesame di Venezia ha sì respinto la richiesta della procura di Rovigo delle misure cautelari, vale a dire il carcere per Borile e Chinaglia, (rispettiva­mente fondatore di Padova Tre che ha ricoperto il ruolo di vicepresid­ente e direttore della società fino a luglio 2015 e presidente della società fino allo stesso periodo), gli arresti domiciliar­i per Tromboni (ex direttore generale del Consorzio Padova Sud che ha assorbito la società) e il divieto temporaneo di esercitare attività imprendito­riali per Batocchio e Mastellaro (il primo della coop Ecofficina e il secondo presidente di Ecofficina Servizi). Nel contempo, però, ha confermato tutte le accuse che il pm Davide Nalin (ora sospeso perché coinvolto nell’affaire di tacchi e minigonne della scuola di formazione per magistrati «Diritto e Scienza», ndr.) aveva formulato sulla base delle indagini del Nucleo di polizia economico-finanziari­a del comando provincial­e della Guardia di Finanza di Padova, guidato dal comandante Fabio Dametto. E cioè, a vario titolo, peculato, truffa, falso in atto pubblico e frode fiscale.

Il caso specifico, ormai è noto, è quello delle bollette della Tari gonfiate agli utenti, bollette emesse con importi decisament­e più alti di quelli presenti nei piani economici preventivi (Pef) approvati dai Comuni. Stando a quanto verificato dalle Fiamme Gialle, teorizzato dal pm e poi confermato dal Riesame, il «giochino» messo in campo dall’azienda, che avrebbe portato nelle casse circa 10 milioni di euro, sarebbe configurab­ile come truffa. Non solo, però, perché Borile e Chinaglia «nella loro qualità di incaricati di pubblico servizio», non avrebbero versato alla Provincia di Padova circa tre milioni e mezzo di euro di Tap, vale a dire il tributo ambientale provincial­e, riferiti a un periodo tra il 2013 e il 2015. Ed è proprio qui che si annida l’accusa di peculato, perché quei soldi sarebbero stati dirottati su altri fronti e, come si legge nelle carte del tribunale, «sono state impiegati da Padova Tre per finalità proprie dell’azienda, in particolar­e per far fronte ad altre diverse esposizion­i debitorie».

Se, quindi, il Riesame ha respinto le misure richieste dal pm, è solo perché vengono meno le esigenze cautelari dell’«attualità»: Borile e Chinaglia, cioè, hanno abbandonat­o le loro cariche da un anno, e quindi non corrono più il rischio di reiterare i reati.

Nel frattempo, però, il Riesame ha rinviato al tribunale di Rovigo la decisione sul sequestro dei beni riconducib­ili agli ex dirigenti dei Padova Tre. Il che significa, quindi, che verrà fissata un’udienza in camera di consiglio per decidere il da farsi.

I guai per la società dei rifiuti che serviva ben 52 comuni, però, non finiscono qui. Si sta ormai avviando alla chiusura l’inchiesta sui 40 milioni di buco lasciati da Padova Tre, inchiesta che coinvolge dieci indagati, i cinque vertici già sopra nominati oltre ai quattro revisori dei conti Alcide Nicchio, Angelo Donato, Gianmarco Rando e Patrizia Bazzi, e il terzo componente del cda di Padova Tre Egidio Vanzetto, accusati insieme a Borile e Chinaglia di false comunicazi­oni sociali. Potrebbe però aprirsi a breve una nuova inchiesta per bancarotta, nata dal lavoro che stanno portando avanti i quattro curatori fallimenta­ri nominati per studiare nel dettaglio, carta su carta, la situazione patrimonia­le della società.

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Indagini in corso A guidare le indagini è la Guardia di Finanza

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