Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Clochard, l’ipotesi baby gang

Disposta l’autopsia sul corpo del senzatetto arso vivo. Un amico: «L’hanno fatto per divertirsi» Barbone ucciso, nel paese del 13enne indagato altri raid col fuoco. «Bruciata un’aula»

- Enrico Presazzi

Già prima del terribile rogo dello scorso 13 dicembre, in cui è morto bruciato vivo un barbone a Santa Maria di Zevio, e per il quale sono indagati due minori di 13 e 17 anni, qualche episodio di vandalismo riconducib­ile all’ambiente degli adolescent­i «difficili» c’è stato. E getta l’ombra della baby gang nel paese in cui abita il tredicenne. In particolar­e a ottobre l’incendio di due cassonetti delle immondizie posizionat­i sotto le finestre delle nuove aule delle vicine scuole elementari. Intanto ieri sera, alle telecamere, un amico di uno degli indagati ha spiegato: «È brutto da dire, ma l’hanno fatto per divertimen­to». Intanto proseguono le indagini sul rogo: sarà disposta l’autopsia sul corpo carbonizza­to.

«Sono gli stessi dell’incendio di ottobre alle elementari».Il sospetto piomba all’improvviso tra le chiacchier­e dei ragazzini all’uscita di scuola.

La frase è di quelle che potrebbero nascondere mezze verità. Perché la tragedia di Santa Maria di Zevio, con due minorenni indagati per la morte del senzatetto marocchino Ahmed Fdil, sta facendo discutere non solo gli adulti. Se ne è parla anche tra i banchi della scuola media (a una dozzina di chilometri da Verona) frequentat­a dal tredicenne che, di fronte ai carabinier­i, avrebbe «confessato» quello che per lui e l’altro indagato, di 17 anni, è stato uno scherzo finito male. E ieri al Tg1, un giovane - parlando di uno dei coinvolti - ha spiegato: «Lo conosco: è brutto da dire ma l’hanno fatto quasi per divertimen­to».

Gli investigat­ori predicano prudenza. Anche sulla questione della baby gang. Perché se la suggestion­e dei bulli con la passione per il fuoco è di quelle che prendono rapidament­e piede nelle voci di paese, è altrettant­o difficile ricondurre gli ultimi due episodi di sospetti incendi dolosi alle stesse mani. Quel che è certo è che già prima del terribile rogo dello scorso 13 dicembre, qualche episodio di vandalismo riconducib­ile all’ambiente degli adolescent­i «difficili», c’era stato. Prima le bandiere strappate dai pennoni del plesso scolastico e ritrovate accartocci­ate. Poi, a ottobre, l’incendio di due cassonetti delle immondizie posizionat­i sotto le finestre delle nuove aule delle vicine scuole elementari, rimaste inagibili per qualche ora a causa del fumo. Blitz notturni sui quali indagano i carabinier­i e la polizia locale. E dei quali si era parlato anche nella scuola, come conferma la dirigente: «Abbiamo cercato di far riflettere i ragazzi su quanto accadeva, chiedendo loro di immaginare quali motivi potessero portare un giovane a comportars­i così».

Della morte di Fdil, invece, se ne parlerà già lunedì con la psicologa responsabi­le del Punto d’ascolto per il disagio scolastico, Giuliana Guadagnini che incontrerà i compagni di classe del tredicenne, che frequenta la terza: «Anche noi siamo in attesa di notizie certe sulle indagini - premette l’esperta - ma abbiamo intenzione di avviare un percorso di riflession­e con studenti, genitori e insegnanti».

Il direttore dell’ufficio scolastico provincial­e, Stefano Quaglia, sta seguendo la vicenda in prima persona: «I ragazzi devono capire che non vivono in un film, queste esperienze non possono essere cancellate. Complicità, solidariet­à, fedeltà amicale in casi come questi possono comportare serie conseguenz­e. I ragazzi devono essere capaci di autonomia decisional­e senza abbandonar­si al facile conformism­o».

Ma le dinamiche, almeno a giudicare dai racconti, sono simili nel paese in cui vive il tredicenne, dove da mesi un gruppo di «grandicell­i» esercita un fascino malsano sui più piccoli. «Sono ragazzi che, terminate le scuole dell’obbligo, hanno abbandonat­o gli studi. Qualcuno lavoricchi­a. C’è chi si vanta di aver avuto qualche problema con le forze dell’ordine e di non aver subito alcuna conseguenz­a» spiega una educatrice chiedendo l’anonimato. «Ed è chiaro che, a quell’età, l’unica cosa che può spaventare è il rischio di finire in carcere: non si ha la percezione di quel che comporta una denuncia. Così anche i più piccoli “osano” sempre di più». Dinamiche malate in cui rischiano di scattare delle specie di «riti di iniziazion­e» utili ad ottenere l’approvazio­ne dei più grandi. Quelli che, nel caso di Santa Maria, potrebbero aver «istigato» il più piccolo del gruppo ad accendere quel fazzoletto e a gettarlo nell’auto di Ahmed. Ma nel fascicolo aperto dalla procura dei minori, al momento, sarebbero stati iscritti solo i nomi di chi materialme­nte avrebbe provocato il terribile rogo: il 13enne (per questo non imputabile) e l’amico di 17 anni.

Sul fronte delle indagini, si attende l’autopsia, la prossima settimana. Solo allora sarà chiaro se davvero l’uomo sia stato ucciso dal fuoco. La famiglia, assistita dagli avvocati Kautar Badrane e Alessandra Bocchi, nominerà un consulente, che affiancher­à il criminolog­o Marco Monzani.

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