Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Pili, lite sulla futura Porta di Venezia «Progetto ad aprile»
I privati: «Entro aprile i progetti, mai ville né sede del Casinò»
Pili, questo è il nome dell’area, di proprietà del blind trust del sindaco Bru- gnaro che sta creando un putiferio politico. È un boschet- to stretto tra l’inizio del Ponte della libertà, la laguna e Marghera. Domani potrebbe diventare la «Porta di Venezia» con palasport e hotel. «Progetto ad aprile».
Oggi è un boschetto selvaggio stretto tra l’inizio del Ponte della libertà (sulla destra per chi va verso Venezia), la laguna, i serbatoi di via dei Petroli e la ex raffineria (ora «bio») dell’Eni. Domani, come anticipa il suggestivo nome dato alla società che ne è proprietaria dal 2006, potrebbe diventare la «Porta di Venezia», con il palazzetto dello sport per le partite di basket della Reyer (e per concerti) e poi un nuovo quartiere urbano con alberghi, uffici, negozi, ristoranti, una residenza sanitaria per anziani e, forse, una darsena.
La nuova sfida per il futuro di Marghera e del cosiddetto «waterfront» – su cui un secolo fa il conte Volpi di Misurata si inventò la creazione di una delle zone industriali più strane d’Italia, il famigerato Petrolchimico – si chiama Pili. Questo è il nome dell’area che sta creando da giorni un putiferio politico e non solo a Venezia. Quella Venezia che, nella sua area di terraferma e soprattutto in quella che in parte è, in parte fu, Porto Marghera, da anni cerca di trovare uno sviluppo industriale, ma anche di cambiare, stretta tra la crisi economica, la protesta di sindacati e lavoratori che chiedono di mantenerne la vocazione industriale, i vincoli ambientali e paesaggistici di una delle sue zone più inquinate e delicate, la gronda lagunare. E si riapre un dibattito che già cinque anni fa vide protagonista e poi affossò il maxi-progetto del Palais Lumière di Pierre Cardin, un grattacielo di 245 metri che lo stilista aveva disegnato per Marghera.
Sui Pili a Venezia si discute da anni e la polemica è anche politica perché il proprietario è Luigi Brugnaro, che dal giugno 2015 è anche il sindaco della città. Poi, alcuni giorni fa, circola la voce secondo cui ora un magnate di Singapore, Ching Chiat Kwong, che ha già un palazzo a Venezia ed è in procinto di acquistarne un altro, sarebbe interessato a «mettere il carico» sulla Porta. Un maxi-investimento firmato dall’architetto Tobia Scarpa, e nel rumor si parla anche di villette e un nuovo casinò. Per la residenza servirebbe però una modifica al Prg e al Pat e dunque un passaggio nel consiglio comunale «fucsia».
L’opposizione sale sulle barricate, Felice Casson – sconfitto da Brugnaro due anni fa – raccoglie le firme per un consiglio straordinario, i sindacati scrivono la loro contrarietà a uno stravolgimento di Marghera da zona industriale a polo turistico, visto che poco distante, nel canale industriale nord, se andrà in porto il piano del governo, arriveranno anche le grandi navi da crociera.
E così ieri Giuseppe Venier, ad di Umana e dell’intera holding di Brugnaro, ha cercato di mettere dei punti chiari sulla vicenda, affiancato dall’avvocato Luca Gatto, amministratore di Porta di Venezia. «Non c’è alcun progetto concreto, ma solo ipotesi per ora taglia corto - Una cosa è certa: non ci sarà residenza, perché non è prevista dagli strumenti urbanistici, così come mai si è parlato di casinò». I punti di partenza sono due: il primo è che il gruppo Umana, proprietario della Reyer, ha l’urgente esigenza di presentare entro i prossimi playoff un progetto alla Lega per un nuovo palasport oltre i 5 mila posti (l’ipotesi è di 10 mila), in modo da ottenere una deroga per giocare all’attuale Taliercio senza emigrare altrove. Il secondo, ribadisce Venier, «è che non ci sarà alcun passaggio in consiglio comunale, perché tutto quello che faremo è previsto da vent’anni dagli strumenti urbanistici approvati e confermati da tutte le amministrazioni precedenti, a completamento del parco di San Giuliano». «Tutto ruota intorno al palazzetto, il resto serve per dare sostenibilità economica all’investimento - spiega il manager - Avremmo potuto già presentare un progetto, ma siamo stati fermi per due anni perché prima bisognava risolvere un problema». Cioè quello del conflitto di interessi, ora superato dal «blind trust», il primo in Italia, realizzato da Brugnaro (patron della Reyer) un mese fa. «Il proprietario non è più lui - sottolinea - Anzi, da sindaco sarà più un problema che altro, perché valuterà con grande severità il progetto. Poi ci sono tanti enti che lo dovranno vedere: la Regione, l’Enac, la Soprintendenza, il ministero dell’Ambiente. Tempi? L’obiettivo è presentarlo entro aprile, prima dei playoff, ma non sarà facile».
Venier conferma i nomi di Kwong e Scarpa. «Siamo stati contattati da moltissimi investitori interessati allo sviluppo di quell’area e Kwong è uno di questi - racconta - Quanto all’architetto Scarpa, spero che possa essere lui a firmare il progetto. Cerchiamo un investitore che ci affianchi, ma non lo daremo ad altri: ci metteremo la faccia». Venier tranquillizza tutti, dunque, a partire dai sindacati. «Non siamo un’azienda che fa speculazioni immobiliari - dice Le questioni poste dai sindacati sono condivisibili, ma quell’area non è a vocazione industriale, bensì urbana».
Venier/1 Non ci sarà il passaggio in consiglio comunale era tutto previsto Venier/2 Tutte le giunte hanno accettato la destinazione dell’area