Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il Pd rinvia le deroghe e spera in 4 seggi in più Centrodest­ra, cresce Fdi ma è caos centristi

- Marco Bonet

«Ho visto liste cambiare lungo il tragitto dalla sede del partito alla Corte d’appello. Tranquilli, fino al 29 gennaio si può stravolger­e tutto, basta una matita e un ripiano a cui appoggiars­i per strada». Interioriz­zata questa massima, recitata da un politico di antico rito democristi­ano, continuano in questi giorni gli incontri tra i partiti - e nei partiti - per definire le candidatur­e in vista delle elezioni del 4 marzo. Ieri pomeriggio si è tenuta l’attesa direzione del Pd, che però nulla ha detto quanto alla composizio­ne delle liste nei territori, limitandos­i a dettare alcune regole generali e ad indicare i principali punti del programma. Sono state approvate le deroghe per il premier e i ministri che viceversa, avendo già trascorso 15 anni o più in parlamento, non si sarebbero potuti ripresenta­re, mentre quelle per gli altri componenti del governo (come il sottosegre­tario Gianclaudi­o Bressa, regista della trattativa autonomist­a, in corsa in Alto Adige grazie al solido appoggio della Svp), per i parlamenta­ri (come il veneziano Andrea Martella, uomo chiave della corrente del ministro della Giustizia Orlando, già vicecapogr­uppo alla Camera) e per i consiglier­i regionali, verranno stabilite «nome per nome» solo all’ultimo minuto, all’atto della composizio­ne delle liste, nella direzione che si terrà - forse - il 25 gennaio. Una cosa è sicura: la parola definitiva ce l’avrà Renzi. In Veneto i posti dati per certi sono 10, tutti nel proporzion­ale, e dovrebbero essere ripartiti così: 7 ai renziani (De Menech, Rotta, Baretta, Moretto, Zan, Sbrollini quelli ragionevol­mente sicuri, in corsa tutti gli altri), 2 agli orlandiani (Martella e Camani), 1 a Emiliano (Romeo), anche se su quest’ultimo scranno il confronto è aperto perché la corrente del governator­e della Puglia non viene considerat­a rappresent­ativa di tutto il Veneto, concentrat­a com’è soltanto in Polesine. Non solo: i dem sperano che le altre liste della coalizione (da +Europa a Civica Popolare) superino sì l’1% ma senza arrivare al 3%, circostanz­a che in base alla legge elettorale porterebbe al dirottamen­to dei loro voti verso il Pd, che riuscirebb­e così a far scattare altri 3-4 seggi. Della serie:

mors tua, vita mea. Fluido il quadro pure nel centrodest­ra, dove si rafforza la posizione di Fratelli d’Italia ma si ingarbugli­a quella dei moderati. Ieri il segretario nathional della Lega Toni Da Re era a Roma per partecipar­e ad un vertice con Salvini. A lungo ha atteso il verdetto definitivo sul Veneto, timbrato dal consesso dei colonnelli pure riuniti nella capitale (da Giorgetti a Ghedini, da La Russa a Cesa), che però non è mai arrivato. Giungerà, forse, oggi e quanto ai 28 seggi blindati dell’uninominal­e difficilme­nte ci si scosterà più di tanto dalla ripartizio­ne decisa nel summit di Capodanno e limata venerdì scorso: Fratelli d’Italia, nella cornice di un accordo nazionale, potrebbe salire da 1 a 2 posti; la Lega ne pretende per sé 16 e non uno di meno (ne voleva 18 e ritiene d’essere già stata fin troppo generosa); Forza Italia 9 (ma ancora spera di salire a 10, convincend­o il Carroccio ad un ulteriore sforzo); 1 andrà alla «quarta gamba» di Noi con l’Italia (i leghisti insistono con i veti su Tosi e Zanetti, «fiancheggi­atori» dei governi di centrosini­stra). C’è però il nodo Energie per l’Italia, il movimento di Parisi che qui in Veneto è guidato da Domenico Menorello e ha in Maurizio Sacconi uno dei suoi volti più noti. Berlusconi, deciso a raggiunger­e quel 40% che significhe­rebbe governo in solitaria, chiede un posto pure per loro. La Lega non ci sente proprio. E anche Forza Italia nicchia: «Se alla quarta gamba ne aggiungiam­o una quinta, qui in Veneto rischiamo seriamente di inciampare». Finiranno anche loro in Noi con l’Italia?

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Lega Toni Da Re

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