Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’AUTONOMIA DI DOMANI
Agiudicare dalla campagna elettorale nazionale in corso il tema del federalismo sembra scomparso dall’agenda politica. Non è più un tema cruciale neanche per la Lega; oggi non più Lega Nord, per infatuazione sovranista del suo leader Salvini. Situazione impensabile solo qualche anno fa, quando il problema era sovra rappresentato, ma eccessiva oggi perla sua sotto rappresentazione.
Assume così un significato tutto particolare, controcorrente, la vicenda della «autonomia differenziata» prevista dall’articolo 116.3 della Costituzione richiesta da Veneto e Lombardia con i referendum dello scorso ottobre. Nelle vicende politiche l’eterogenesi dei fini è sempre dietro l’angolo. È così che un’iniziativa partita dal Veneto per guadagnare una autonomia non dissimile da quella delle regioni confinanti a statuto speciale, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, forzando il dettato costituzionale uscito dalla modifica del titolo quinto della Costituzione nel 2001, ha potenzialmente riacceso la fiammella della ridefinizione delle relazioni tra livelli di governo: dal locale al globale.
E’ possibile che il movimento iniziato da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, e che oggi vede in procinto di arruolarsi anche Liguria, Piemonte, Puglia e Campania non vada oltre l’obiettivo di una applicazione letterale dell’articolo 116.3 della Costituzione: una autonomia particolare concessa su un numero limitato di materie: quelle che ogni regione dimostri di saper trattare meglio del governo centrale anche nell’interesse del resto del paese; e dotata di maggiori risorse finanziarie entro i limiti di quelle già ad esse destinate dallo Stato. Tutto questo per Veneto, Lombardia ed EmiliaRomagna, a condizione che si raggiunga un’ intesa con il governo prima del 4 marzo, e che il nuovo Parlamento sia disposto a ratificarla.
Ma è anche possibile che, riaperto il vaso di Pandora delle relazioni tra livelli di governo, ci si renda conto della necessità di rimettere ordine in una materia sottoposta negli ultimi anni ad opposte e confuse spinte sovraniste, consapevoli o meno. Nel dibattito interno italiano , con il tentativo di riaccentramento di poteri e competenze del progetto abortito della riforma costituzionale Renzi-Boschi, così come in quello in seno all’Unione Europea che ha visto il «comunitarismo» cedere il passo all ’« inter governa men talismo ».
Oggi occorrerebbe che ripartisse una nuova stagione di ingegneria istituzionale. Naturalmente quando si saranno rimarginate le ferite della mancata riforma Boschi-Renzi e, soprattutto, quando si avranno idee più chiare sull’assetto più utile da dare ai poteri nazionali, stretti tra quelli europei (e globali) e quelli regionali e locali. Perché le novità rispetto al clima in cui fu votata la riforma costituzionale del 2001 riguardano soprattutto le tre competenze statali classiche: moneta (economia), spada (difesa), e bilancia (giustizia) tutte spinte verso l’alto di una maggior competenza europea. In una società ed una economia sempre più globalizzate è evidente la necessità del consolidarsi a livello europeo di competenze in tema di moneta, già avvenuta con l’avvento dell’euro, e finanza pubblica, con proposte come quelle alla Macron (Merkel) della creazione di un ministero europeo dell’economia dotato di un bilancio sufficiente a preservare l’area euro da instabilità economico finanziarie. Ma lo stesso vale per il trasferimento – timidamente già programmato - delle competenze di difesa comune (la spada) verso un’Europa che ha bisogno di contrappesi per non subire le instabilità create dal confronto globale Stati Uniti e Cina, e dai focolai accesi, o che covano, anche ai confini dell’Europa, sotto forma di fenomeni terroristici e non solo. Per non dire della necessità - evidente ma non per questo soddisfatta - di dotare il vecchio continente delle istituzioni necessarie a preservarne l’ identità in un mondo che sarà sempre più asiatico in questo secolo ed africano nel prossimo. Occorre che, ad esempio, a Treviso ci «sentiamo» al più presto europei, oltre che trevigiani, veneti e italiani. Insomma in un contesto nel quale pace, prosperità e identità, anche della più piccola comunità comunali, dipenderà sempre più da decisioni sovranazionali europee e globali l’autonomia da cercare e costruire a livello regionale e locale è di natura tutta nuova. Non più quella che rivendica qualche potere strappato allo stato nazionale in un esercizio distributivo di risorse date, quanto quella che si fa coprotagonista delle decisioni di crescita e sviluppo qualunque sia il livello di governo al quale vengono prese. Le modalità di partecipazione anche delle regioni al nuovo federalismo europeo sono tutte da inventare. Ma sono il futuro di cui abbiamo bisogno. Non è esattamente l’obiettivo che si era proposto il Veneto, ma se la sua battaglia per l’«autonomia di ieri» producesse risultati utili per l’«autonomia di domani» non sarebbe stata combattuta invano.