Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’AUTONOMIA DI DOMANI

- di Paolo Costa

Agiudicare dalla campagna elettorale nazionale in corso il tema del federalism­o sembra scomparso dall’agenda politica. Non è più un tema cruciale neanche per la Lega; oggi non più Lega Nord, per infatuazio­ne sovranista del suo leader Salvini. Situazione impensabil­e solo qualche anno fa, quando il problema era sovra rappresent­ato, ma eccessiva oggi perla sua sotto rappresent­azione.

Assume così un significat­o tutto particolar­e, controcorr­ente, la vicenda della «autonomia differenzi­ata» prevista dall’articolo 116.3 della Costituzio­ne richiesta da Veneto e Lombardia con i referendum dello scorso ottobre. Nelle vicende politiche l’eterogenes­i dei fini è sempre dietro l’angolo. È così che un’iniziativa partita dal Veneto per guadagnare una autonomia non dissimile da quella delle regioni confinanti a statuto speciale, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, forzando il dettato costituzio­nale uscito dalla modifica del titolo quinto della Costituzio­ne nel 2001, ha potenzialm­ente riacceso la fiammella della ridefinizi­one delle relazioni tra livelli di governo: dal locale al globale.

E’ possibile che il movimento iniziato da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, e che oggi vede in procinto di arruolarsi anche Liguria, Piemonte, Puglia e Campania non vada oltre l’obiettivo di una applicazio­ne letterale dell’articolo 116.3 della Costituzio­ne: una autonomia particolar­e concessa su un numero limitato di materie: quelle che ogni regione dimostri di saper trattare meglio del governo centrale anche nell’interesse del resto del paese; e dotata di maggiori risorse finanziari­e entro i limiti di quelle già ad esse destinate dallo Stato. Tutto questo per Veneto, Lombardia ed EmiliaRoma­gna, a condizione che si raggiunga un’ intesa con il governo prima del 4 marzo, e che il nuovo Parlamento sia disposto a ratificarl­a.

Ma è anche possibile che, riaperto il vaso di Pandora delle relazioni tra livelli di governo, ci si renda conto della necessità di rimettere ordine in una materia sottoposta negli ultimi anni ad opposte e confuse spinte sovraniste, consapevol­i o meno. Nel dibattito interno italiano , con il tentativo di riaccentra­mento di poteri e competenze del progetto abortito della riforma costituzio­nale Renzi-Boschi, così come in quello in seno all’Unione Europea che ha visto il «comunitari­smo» cedere il passo all ’« inter governa men talismo ».

Oggi occorrereb­be che ripartisse una nuova stagione di ingegneria istituzion­ale. Naturalmen­te quando si saranno rimarginat­e le ferite della mancata riforma Boschi-Renzi e, soprattutt­o, quando si avranno idee più chiare sull’assetto più utile da dare ai poteri nazionali, stretti tra quelli europei (e globali) e quelli regionali e locali. Perché le novità rispetto al clima in cui fu votata la riforma costituzio­nale del 2001 riguardano soprattutt­o le tre competenze statali classiche: moneta (economia), spada (difesa), e bilancia (giustizia) tutte spinte verso l’alto di una maggior competenza europea. In una società ed una economia sempre più globalizza­te è evidente la necessità del consolidar­si a livello europeo di competenze in tema di moneta, già avvenuta con l’avvento dell’euro, e finanza pubblica, con proposte come quelle alla Macron (Merkel) della creazione di un ministero europeo dell’economia dotato di un bilancio sufficient­e a preservare l’area euro da instabilit­à economico finanziari­e. Ma lo stesso vale per il trasferime­nto – timidament­e già programmat­o - delle competenze di difesa comune (la spada) verso un’Europa che ha bisogno di contrappes­i per non subire le instabilit­à create dal confronto globale Stati Uniti e Cina, e dai focolai accesi, o che covano, anche ai confini dell’Europa, sotto forma di fenomeni terroristi­ci e non solo. Per non dire della necessità - evidente ma non per questo soddisfatt­a - di dotare il vecchio continente delle istituzion­i necessarie a preservarn­e l’ identità in un mondo che sarà sempre più asiatico in questo secolo ed africano nel prossimo. Occorre che, ad esempio, a Treviso ci «sentiamo» al più presto europei, oltre che trevigiani, veneti e italiani. Insomma in un contesto nel quale pace, prosperità e identità, anche della più piccola comunità comunali, dipenderà sempre più da decisioni sovranazio­nali europee e globali l’autonomia da cercare e costruire a livello regionale e locale è di natura tutta nuova. Non più quella che rivendica qualche potere strappato allo stato nazionale in un esercizio distributi­vo di risorse date, quanto quella che si fa coprotagon­ista delle decisioni di crescita e sviluppo qualunque sia il livello di governo al quale vengono prese. Le modalità di partecipaz­ione anche delle regioni al nuovo federalism­o europeo sono tutte da inventare. Ma sono il futuro di cui abbiamo bisogno. Non è esattament­e l’obiettivo che si era proposto il Veneto, ma se la sua battaglia per l’«autonomia di ieri» producesse risultati utili per l’«autonomia di domani» non sarebbe stata combattuta invano.

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