Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il capannone e l’antiparass­itario per la cocaina

IL BANCARIO ARRESTATO «ERO SPAVENTATO»

- di Andrea Priante

«Qui a Busa siamo forti». PADOVA Così l’ex direttore della filiale di Bpvi a Busa di Vigonza, Federico Zambrini, intercetta­to nel novembre del 2015, commentava compiaciut­o uno dei tanti episodi in cui avrebbe aiutato Antonio Bartucca nei suoi affari.

Un ruolo, come sottolinea il gip Mariella Fino nell’ordinanza, essenziale in tutta l’organizzaz­ione. Quando Zambrini diventa direttore, nel marzo del 2014, riceve dal suo predecesso­re un avviso: qualcosa, nei movimenti bancari di Bartucca, non quadra. Anche l’Audit, il sistema di vigilanza interno alle banche, ha segnalato il calabrese come cliente dedito a operazioni poco chiare. Zambrini, quindi, ha ereditato il compito di vigilare e segnalare eventuali illeciti. Eppure non si muove in questa direzione. Anzi, secondo l’accusa tratta quel cliente sospetto con un occhio di riguardo e si inserisce, «con una notevole capacità criminale, grande spregiudic­atezza e ferma volontà di partecipar­e al sodalizio illecito e a tutte le sue attività delittuose», nel gioco messo in piedi da Bartucca.

È lui a suggerire a quel «cliente privilegia­to», come viene definito Bartucca dal gip, un modo alternativ­o per fare soldi: creare fatture per operazioni inesistent­i a nome di artigiani che avevano lavorato per il titolare dell’impresa edile. Uno stratagemm­a per effettuare bonifici su carte prepagate intestate a profession­isti estranei all’inchiesta ma riconducib­ili al capo del gruppo - Antonio Bartucca appunto - da reinvestir­e nella droga.

Secondo l’accusa, con il suo comportame­nto il direttore aveva un duplice tornaconto. Innanzitut­to personale: nelle tasche di Zambrini, infatti, sarebbero finiti pagamenti in contanti per il suo «disturbo», al punto che è Bartucca stesso a ricordare al collaborat­ore del direttore, Roberto Longone, che «Federico prende sempre la sua parte». A guadagnarc­i, però, era anche la filiale stessa: in cambio della sua consulenza, infatti, Zambrini avrebbe «fidelizzat­o il cliente». Al calabrese, il direttore è riuscito a vendere polizze assicurati­ve, libretti di risparmio e conti correnti, mutui, locazione di cassette di sicurezza. E, soprattutt­o, azioni Bpvi per 66mila euro. C’è anche Bartucca, quindi, tra gli azionisti coinvolti nel crac della banca: quelle azioni da migliaia di euro, nel giro di pochi mesi hanno ridotto il loro valore ad appena 44 euro. Bartucca andò su tutte le furie.

È lo stesso Zambrini a raccontarl­o agli uomini della Dia nell’interrogat­orio del marzo 2016: «Venne nel mio ufficio con altre due persone, Lorenzo Ceoldo (braccio destro del capo, ndr) e Vincenzo Giglio che in seguito Bartucca mi disse essere il figlio di un boss carcerato. Mi disse che avevo sbagliato, intendendo riferirsi alla perdita di valore dell’investimen­to azionario che gli avevo proposto io a fine 2014, e che dovevo rigare dritto e non sbagliare più nel futuro.

L’indagato Antonio Bartucca mi disse che con lui potevo parlare ma con i suoi amici invece no Il giudice Forse venne minacciato ma questo non gli ha impedito di ricevere denaro per le sue prestazion­i

Mi disse che con lui potevo parlare, ma con i suoi amici no. Il tono era minaccioso e mi spaventai...».

Sarebbe stata quindi la paura a spingerlo ad aiutare Bartucca nel suo progetto. E quel sentimento di ansia lo aveva confidato anche ai dipendenti della banca che sono rimasti estranei all’inchiesta.

Lo stesso timore che avrebbe mosso anche il collaborat­ore del direttore, Roberto Longone. «Ho omesso di riferire alcuni particolar­i perché Bartucca mi faceva paura - ha ammesso di fronte gli investigat­ori -. Uno dei motivi per i quali ero intimorito da Bartucca è anche il fatto che costui mi ha presentato Vincenzo Giglio come “una persona alla quale non si poteva dire di no”».

D’altra parte, sottolinea il giudice per le indagini preliminar­i Fino, nonostante il direttore si giustifich­i dicendo di essere stato minacciato da Bartucca («Il che - spiega si legge nelle carte - probabilme­nte è vero»), questo «non gli ha impedito di ricevere denaro per le sue prestazion­i, astenendos­i dal denunciare le “irregolari­tà” alle forze dell’ordine e agli organi di controllo. Si impegna a fondo per spiegare, trattenere, nascondere, collaborar­e, escogitare mezzi, sostenere in ogni modo gli interessi dell’associazio­ne, venendo meno a tutti i suoi doveri profession­ali».

Ed è proprio per questo mancato controllo che il «sequestro preventivo per equivalent­e nei confronti dei dipendenti» della banca è stato esteso anche all’ente che, quindi, assume su di sé la responsabi­lità amministra­tiva per i reati commessi da persone che erano sotto la sua vigilanza.

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A sinistra, il dirigente della Dia di Padova, Carlo Pieroni (foto Bergamasch­i).
A destra, la casa sequestrat­a a Zambrini, la moto di Longone e la droga trovata
L’operazione A sinistra, il dirigente della Dia di Padova, Carlo Pieroni (foto Bergamasch­i). A destra, la casa sequestrat­a a Zambrini, la moto di Longone e la droga trovata
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