Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il capannone e l’antiparassitario per la cocaina
IL BANCARIO ARRESTATO «ERO SPAVENTATO»
«Qui a Busa siamo forti». PADOVA Così l’ex direttore della filiale di Bpvi a Busa di Vigonza, Federico Zambrini, intercettato nel novembre del 2015, commentava compiaciuto uno dei tanti episodi in cui avrebbe aiutato Antonio Bartucca nei suoi affari.
Un ruolo, come sottolinea il gip Mariella Fino nell’ordinanza, essenziale in tutta l’organizzazione. Quando Zambrini diventa direttore, nel marzo del 2014, riceve dal suo predecessore un avviso: qualcosa, nei movimenti bancari di Bartucca, non quadra. Anche l’Audit, il sistema di vigilanza interno alle banche, ha segnalato il calabrese come cliente dedito a operazioni poco chiare. Zambrini, quindi, ha ereditato il compito di vigilare e segnalare eventuali illeciti. Eppure non si muove in questa direzione. Anzi, secondo l’accusa tratta quel cliente sospetto con un occhio di riguardo e si inserisce, «con una notevole capacità criminale, grande spregiudicatezza e ferma volontà di partecipare al sodalizio illecito e a tutte le sue attività delittuose», nel gioco messo in piedi da Bartucca.
È lui a suggerire a quel «cliente privilegiato», come viene definito Bartucca dal gip, un modo alternativo per fare soldi: creare fatture per operazioni inesistenti a nome di artigiani che avevano lavorato per il titolare dell’impresa edile. Uno stratagemma per effettuare bonifici su carte prepagate intestate a professionisti estranei all’inchiesta ma riconducibili al capo del gruppo - Antonio Bartucca appunto - da reinvestire nella droga.
Secondo l’accusa, con il suo comportamento il direttore aveva un duplice tornaconto. Innanzitutto personale: nelle tasche di Zambrini, infatti, sarebbero finiti pagamenti in contanti per il suo «disturbo», al punto che è Bartucca stesso a ricordare al collaboratore del direttore, Roberto Longone, che «Federico prende sempre la sua parte». A guadagnarci, però, era anche la filiale stessa: in cambio della sua consulenza, infatti, Zambrini avrebbe «fidelizzato il cliente». Al calabrese, il direttore è riuscito a vendere polizze assicurative, libretti di risparmio e conti correnti, mutui, locazione di cassette di sicurezza. E, soprattutto, azioni Bpvi per 66mila euro. C’è anche Bartucca, quindi, tra gli azionisti coinvolti nel crac della banca: quelle azioni da migliaia di euro, nel giro di pochi mesi hanno ridotto il loro valore ad appena 44 euro. Bartucca andò su tutte le furie.
È lo stesso Zambrini a raccontarlo agli uomini della Dia nell’interrogatorio del marzo 2016: «Venne nel mio ufficio con altre due persone, Lorenzo Ceoldo (braccio destro del capo, ndr) e Vincenzo Giglio che in seguito Bartucca mi disse essere il figlio di un boss carcerato. Mi disse che avevo sbagliato, intendendo riferirsi alla perdita di valore dell’investimento azionario che gli avevo proposto io a fine 2014, e che dovevo rigare dritto e non sbagliare più nel futuro.
L’indagato Antonio Bartucca mi disse che con lui potevo parlare ma con i suoi amici invece no Il giudice Forse venne minacciato ma questo non gli ha impedito di ricevere denaro per le sue prestazioni
Mi disse che con lui potevo parlare, ma con i suoi amici no. Il tono era minaccioso e mi spaventai...».
Sarebbe stata quindi la paura a spingerlo ad aiutare Bartucca nel suo progetto. E quel sentimento di ansia lo aveva confidato anche ai dipendenti della banca che sono rimasti estranei all’inchiesta.
Lo stesso timore che avrebbe mosso anche il collaboratore del direttore, Roberto Longone. «Ho omesso di riferire alcuni particolari perché Bartucca mi faceva paura - ha ammesso di fronte gli investigatori -. Uno dei motivi per i quali ero intimorito da Bartucca è anche il fatto che costui mi ha presentato Vincenzo Giglio come “una persona alla quale non si poteva dire di no”».
D’altra parte, sottolinea il giudice per le indagini preliminari Fino, nonostante il direttore si giustifichi dicendo di essere stato minacciato da Bartucca («Il che - spiega si legge nelle carte - probabilmente è vero»), questo «non gli ha impedito di ricevere denaro per le sue prestazioni, astenendosi dal denunciare le “irregolarità” alle forze dell’ordine e agli organi di controllo. Si impegna a fondo per spiegare, trattenere, nascondere, collaborare, escogitare mezzi, sostenere in ogni modo gli interessi dell’associazione, venendo meno a tutti i suoi doveri professionali».
Ed è proprio per questo mancato controllo che il «sequestro preventivo per equivalente nei confronti dei dipendenti» della banca è stato esteso anche all’ente che, quindi, assume su di sé la responsabilità amministrativa per i reati commessi da persone che erano sotto la sua vigilanza.