Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La bozza di Zaia «Vera autonomia in cinque punti»

Riscritti gli articoli su spesa storica e tributi Le osservazio­ni e la risposta al testo di Roma

- Marco Bonet

Superament­o «da subito» della spesa storica. Comparteci­pazione regionale «a più tributi». E si continui a trattare sulle materie, alcune delle quali delineate con eccessive «approssima­zione e vaghezza». Il governator­e Luca Zaia risponde alla proposta del governo sull’autonomia. Con una nuova bozza d’intesa.

Renato Mason (Cgia) Zaia non deve firmare, ci sono vincoli negativi per il Veneto nella bozza scritta dal governo

L’amarezza per un testo «identico» a quello spedito a Lombardia ed Emilia Romagna, che «contravvie­ne la

ratio del regionalis­mo differenzi­ato» e ripropone «una logica di uniformità che non soddisfa», frustrando le intenzioni del governator­e Luca Zaia (e del sottosegre­tario agli Affari regionali Gianclaudi­o Bressa, stando alle sue ultime dichiarazi­oni) di cucire l’autonomia in «maniera sartoriale» addosso alle specifiche esigenze del Veneto. «L’inaccettab­ile» proposta di calcolare le risorse necessarie a fronteggia­re le nuove competenze col criterio della spesa storica, risalente ai tempi di Gaetano Stammati ministro del Tesoro, 1977. Lo stupore per «la vaghezza» che caratteriz­za alcune delle materie affrontate ai tavoli tecnici ministeria­li, uno dei quali, quello dedicato ai Rapporti internazio­nali e con l’Ue, che «addirittur­a non è nemmeno stato convocato».

Sono solo alcuni dei rilievi contenuti nelle controdedu­zioni firmate dal governator­e Luca Zaia (insieme al collega lombardo Roberto Maroni) e spedite mercoledì a Roma, in risposta alla bozza recapitata venerdì 2 febbraio a Palazzo Balbi dal ministero degli Affari regionali. Una lettera puntuale a cui viene allegata una controprop­osta formale, composta da cinque articoli, il più importante dei quali è certamente quello dedicato alla modalità per l’attribuzio­ne delle risorse finanziari­e, umane e strumental­i necessarie all’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia invocate dal Veneto. Vi si chiede infatti in primo luogo «la comparteci­pazione al gettito dei tributi erariali maturato nel territorio della Regione o una riserva di aliquota determinat­a sugli stessi» (è la riproposiz­ione del principio dei 9/10 delle tasse più volte ribadito da Zaia, una sottolinea­tura resa necessaria dal fatto che nella bozza del governo il tema è completame­nte scomparso). In secondo luogo, un «radicale superament­o del criterio della spesa storica e l’individuaz­ione di criteri che tengano conto delle specificit­à territoria­li e confinarie della Regione Veneto» (leggasi i vicini «speciali» Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia).

Dallo scambio intercorso questa settimana (bozza del governo-controdedu­zioni di Zaia e Maroni-nuova proposta della Regione), che il Corriere

del Veneto ha potuto leggere, emerge in modo evidente la distanza tra ciò che il Veneto chiede e ciò che lo Stato è disposto a cedere, una lontananza che non si ritrova sul piano politico tra Zaia e Bressa (protagonis­ti al contrario di un’inaspettat­a sintonia) e che difatti Palazzo Balbi imputa alle «tecnostrut­ture romane», ai «burocrati che perderebbe­ro le loro rendite di posizione», ai «grand commis che al seguito delle competenze dovrebbero mollare la poltrona e lo stipendio».

Nella bozza partita da Roma, che non solo è un «intesa» finita e giuridicam­ente vincolante ma perfino di durata decennale, tre sono gli elementi di criticità: il riferiment­o esplicito alla spesa storica di cui si è detto (e che il governo si impegna a superare «a medio termine» e cioè non prima di 5 anni), definito da Zaia e Maroni «inaccettab­ile» con contestual­e pretesa che sia archiviato «fin da subito»; l’insistente sottolinea­tura, almeno una decina di volta nei capitoli dedicati alle 5 materie trattate (sanità, ambiente, lavoro, istruzione e rapporti con l’Ue), del rispetto dei «vincoli di bilancio», a riprova della rigidità del governo in tema di autonomia fiscale; l’utilizzo del criterio del «fabbisogno standard» (che è cosa diversa dal «costo standard») che mal si applichere­bbe ad una realtà virtuosa, ad alta qualità dei servizi, come il Veneto, col rischio che le nuove funzioni non abbiano le dovute coperture finanziari­a. A questo si aggiunge che «a fronte della corretta individuaz­ione del criterio della comparteci­pazione», la bozza statale fa riferiment­o al «gettito di un tributo erariale» (la Regione già oggi comparteci­pa all’Iva), quando invece il Veneto vorrebbe fossero «più tributi»: una limitazion­e giudicata «irragionev­ole» e per questo tolta nella versione rispedita a Roma, dove si rinvia ad una fase successiva per l’individuaz­ione dei tributi, da un punto di vista «quantitati­vo» e «qualitativ­o». Di fatto, c’è piena condivisio­ne soltanto sulla Commission­e paritetica Stato-Regione chiamata a monitorare i profili finanziari del regionalis­mo differenzi­ato.

Certo il negoziato prosegue, come scrive Zaia nella lettera, sia sulle materie trattate, le cui conclusion­i «non sono definitive ma rimangono aperte», sia sulle materie «non considerat­e in questa fase», ma la preoccupaz­ione è forte e se ne fa interprete il segretario della Cgia di Mestre Renato Mason: « Zaia non deve firmare. È vero che la trattativa non è arrivata a conclusion­e ma qui si stanno fissando dei principi che rischiano di vincolare negativame­nte l’accordo che il Veneto sarà chiamato a definire con il nuovo esecutivo. Senza contare che non viene risolto il nodo del residuo fiscale, 13,5 miliardi. Il mandato dei 2 milioni di veneti che si sono espressi al referendum è chiaro e non va tradito».

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Col leone marciano Il governator­e Luca Zaia, protagonis­ta della trattativa

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