Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
David, da pizze e computer al potere di Rousseau Il declino iniziato in Europa
Faceva l’informatico di giorno e le pizze di sera, David Borrelli, quando decise di candidarsi a sindaco di Treviso: aveva 37 anni e per la sua campagna elettorale arrivò Beppe Grillo in persona, in una piazza che inneggiava ai «vaffa» prima – molto prima che la gente si riunisse sotto il grande cappello del Movimento 5 Stelle.
Era il 2008, a Treviso vinse di nuovo la Lega ma Borrelli ce la fece a lasciare il segno: con uno storico quattro per cento e poco più di duemila voti, divenne il primo grillino eletto nel consiglio comunale di un capoluogo. Era la faccia pulita che serviva per cominciare: uno che si era fatto da solo, mai una tessera in tasca, lavorava sodo e vedeva nella rete lo strumento e il mezzo per emergere. Era un perfetto sconosciuto con la voglia di sfondare e di trasformare una folla arrabbiata in qualcosa di più strutturato, che portasse risultati.
Il primo a congratularsi con lui fu Gian Paolo Gobbo, segretario della Liga Veneta, uno di quelli a cui non si può negare fiuto politico: «Il ragazzo farà strada, mi ricorda la Lega dei primi tempi» aveva detto incrociandolo in municipio. E ci aveva visto lungo. Giovane e sorridente ma concreto e attento, mai eccessivo nei toni, moderato e convincente ma risoluto e rigido con i rivali interni, Borrelli divenne subito un punto di riferimento per il comico genovese: «Sento più lui e Gianroberto Casaleggio della mia famiglia, sono l’unico eletto, si fidano di me, vogliono capire come funziona la macchina da dentro» ripeteva agli amici, sempre con quel cellulare in mano per condividere esperienze e progetti da esportare negli altri Comuni: «Scusa, è Beppe» sussurrava allontanandosi per rispondere. Gli piaceva, tanto, essere al centro di quel mondo.
Borrelli è stato per dieci anni «il» Movimento 5 Stelle di Treviso e del Veneto, padre nobile, il reclutatore degli imprenditori (primo fra tutti Massimo Colomban, ex Permasteelisa, poi assessore a Roma nella giunta Raggi, fino a Franco Storer, presidente di Casartigiani, scelto per l’uninominale al Senato). Ha fatto un passo alla volta, partendo con umiltà dalla sua San Pelajo, popoloso quartiere fuori Treviso: appena entrato in Consiglio, Borrelli si preoccupò di fognature, asfaltature, marciapiedi: «Cose di cui la gente ha bisogno, siamo i cittadini che entrano nelle istituzioni» arringava, introducendo per primo le dirette streaming delle sedute. La sua naturale predisposizione alla mediazione lo aveva aiutato molto: la stessa Lega, che con l’opposizione non era mai stata molto tenera, gli diceva sempre sì. Aveva proposto e portato in città il «Festival dell’acqua» per contrastare la tanto odiata Ombralonga, mentre i suoi progetti sull’utilizzo delle risorse naturali sul potenziamento della rete informatica erano passati direttamente in giunta, a firma Carroccio: «A me non serve metterci il nome, mi basta che siano approvati». Funzionava così la testa di David Borrelli, il braccio destro di Grillo e Casaleggio a Nordest. Candidato presidente alle regionali contro Luca Zaia nel 2010 (nonostante ottantamila mila voti non era riuscito ad entrare a palazzo) si era rifatto nel 2014, eletto in Europa con 25.924 preferenze: da lì continuava a monitorare la sua Treviso, nella quale continuava a intrecciare ottimi rapporti personali e politici. Anche l’azienda cresceva, si era messo in proprio nel 2011 con due soci e le cose andavano bene; aveva messo su peso e se lo rimproverava sempre, ripromettendosi una dieta appena possibile.
Nel 2016 era entrato a far parte del triumvirato che ha fondato la piattaforma Rousseau, lo strumento di gestione e sviluppo del Movimento, che organizza le consultazioni e funge da centrale operativa: «Faremo ordine dove c’era confusione, sarà il nostro passo per crescere ancora». Ne andava orgoglioso come un
David Borrelli nel 2008 Sento più Grillo e Casaleggio della mia famiglia, si fidano di me, vogliono sapere come funziona la macchina di un consiglio comunale da dentro
padre della propria creatura. Da queste parti comandava lui, gli avversari non duravano a lungo perché o venivano espulsi o se ne andavano spontaneamente e se lo ricordano bene quelli che adesso, a vederlo sparire dai radar pentastellati, gongolano. Ha comandato fino a gennaio dello scorso anno quando quella che doveva essere la svolta è diventata la sconfitta: era stato lui lo stratega del tentativo fallito dei Cinque stelle di uscire dal gruppo euroscettico e trattare con i liberali di Alde. Oltre a perdere l’incarico di capogruppo, Borrelli aveva perso un pezzo non irrilevante del suo potere.
Continuavano a proteggerlo Grillo e Casaleggio junior ma in Veneto gli anti-Borrelli sono diventati sempre più agguerriti. Così quando a ottobre la compagna è stata assunta nello staff di un’eurodeputata del Movimento Cinque stelle, lo scandalo «parentopoli» è esploso fragoroso senza alcun cuscinetto: nessuno ha speso mezza parola per difenderlo. Poi Grillo si è fatto da parte, lasciando il partito in mano a Luigi Di Maio, ed è lì, dicono, che per il trevigiano è cambiato tutto.
Borrelli non era soddisfatto della selezione per le candidature alle politiche, se ne era lamentato con gli attivisti: gli erano indigesti il metodo, i nomi e quella «macchina del fango» scatenata dal coordinatore della campagna elettorale, alla ricerca delle «nefandezze» sui rivali. Sembra strano scriverne al passato perché da ieri mattina il padre fondatore (il braccio destro, il primo grillino) non è più un attivista del Movimento. Isolato nella sua splendida Bruxelles, ha lasciato senza dare spiegazioni.