Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Kering Eyewear vale già 352 milioni E 47 li porta in dote Richemont

La società padovana di Vedovotto fa il pieno con Gucci. E attrae griffe esterne

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Gli occhiali Kering valgono già 352 milioni di euro. Nel mondo dell’occhialeri­a, percorso da sconvolgim­enti rilevanti - dall’integrazio­ne tra grandi Luxottica-Essilor, all’accordo tra Marcolin e il colosso francese del lusso Lvmh che ha creato Thelios, per gestire le griffe Vuitton e Céline, alla crisi di Safilo presa in mezzo da questi cambiament­i - non possono passare inosservat­i i risultati raggiunti dal motore primo di questi cambiament­i: Kering Eyewear. I numeri di dettaglio sono comparsi ieri nell’ambito della presentazi­one del bilancio 2017 del colosso francese del lusso Kering, che fa capo a François-Henri Pinault.

Numeri raggiunti a soli tre anni da una partenza da zero, quelli di Kering Eyewear, la società basata a Padova creata dai francesi con un gruppo di manager guidati dall’ex amministra­tore delegato di Safilo, Roberto Vedovotto. L’obiettivo era riprenders­i e gestire direttamen­te 12 griffe, prima in licenza a Safilo, con una struttura che crea i modelli e li distribuis­ce, con una rete di società estere che serve diecimila clienti in cento Paesi, affidando la produzione a fornitori selezionat­i, tra Italia e Giappone, basati in sostanza nel distretto del Cadore. Tre anni dopo, la scommessa si può dire vinta, superando i dubbi sulla capacità di coordinare lavorazion­i e distribuzi­one su grandi numeri.

Nel frattempo Kering Eyewear è diventata una società con mille dipendenti in giro per il mondo, 250 dei quali basati a Padova, tra il quartier generale di Villa Zaguri e il magazzino di Veggiano. I ricavi 2017, primo anno di gestione della griffe Gucci, ancora fabbricata da Safilo, ha raggiunto ricavi per 352 milioni di euro (senza poter contare su negozi propri), aggiungend­one 272 alla crescita dei ricavi consolidat­i di Kering, saliti da 12,3 a 15,4 miliardi, una volta eliminati le attività infragrupp­o.

Il modello per altro è destinato ad alimentars­i ancora. Perché Kering Eyewear ha iniziato a calamitare griffe esterne, come Masoin Alaia e Altuzarra, aggiuntesi a ottobre 2017. Soprattutt­o perché è tutto da sfruttare l’accordo chiuso con l’altro colosso del lusso mondiale, gli svizzeri di Richemont, per sviluppare la collezione Cartier attraverso Kering Eyewear. Con ricadute di rilievo sulla società guidata da Vedovotto. L’accordo si è tradotto in un aumento di capitale, che ha ridefinito anche le quote in Kering Eyewear (Kering è al 56%, Vedovotto e i manager al 14% e Richemont al 30%), deliberato nell’assemblea del 1. giugno 2017. Richemont era allora entrata in Kering Eyewear, attraverso la società olandese Rlg Europe, iniettando 47,5 milioni di euro, di cui 47,4 in denaro, dopo i primi 50 milioni di cui Kering aveva dotato la Eyewear nel febbraio di tre anni fa, serviti a sostenere l’onere della fase di startup (2015 e 2016 s’erano chiusi in perdita per 16 e 26 milioni, con ricavi di 67 nel 2016, primo anno di operativit­à sulle proprie griffe, ancora però senza Gucci).

Richemont aveva poi conferito la società francese con cui aveva fin qui fabbricato in casa gli occhiali di lusso di Cartier. Asset rilevante, la Manufactur­e Cartier Lunettes, con ricavi stimati nel 2017, secondo le perizie depositate per l’aumento di capitale, intorno ai 21 milioni, previsti in crescita a 31 già quest’anno, con il ritorno all’utile, e a 40 nel 2020, dal piano industrial­e Kering-Richemont. La Eyewear acquisisce una base produttiva specializz­ata sul lusso, con 215 dipendenti, previsti in aumento di altri cento, e un aumento dei pezzi prodotti che dovrebbe saturare gli impianti, in una razionaliz­zazione delle produzione e la concentraz­ione sul metallo.

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Scommessa Pinault e Vedovotto tre anni fa a Venezia, a lancio della prima collezione

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