Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il giudice: in M5S non c’è democrazia

Ricorso di un’esclusa, il tribunale respinge ma stronca lo statuto dei 5 Stelle: «Decide il capo»

- Giovanni Viafora

Un pronunciam­ento che è destinato a sollevare un caso politico nazionale. Un giudice del tribunale civile di Roma valutando il ricorso (non accolto) di un’attivista padovana dei Cinque Stelle, Maria Elena Martinez, esclusa dalle ultime «Parlamenta­rie», ha detto che nelle regole e nello statuto del Movimento vi è un’«evidente distanza dai canoni minimi di democrazia». Una decisione senza precedenti, che a pochi giorni dalle elezioni, rischia di avere un effetto dirompente. Il candidato alla Camera Alvise Maniero: «Noi più democratic­i dei partiti».

C’è quello che si recita sulla scena, e quello che si fa nel retroscena. La vita quotidiana come rappresent­azione, la chiamava Goffman. Quando si incrociano politica e giustizia, però, la questione è più complessa. Diciamo, per esempio, che se un partito mette nero su bianco, nel proprio statuto, che «l’attività politica si debba svolgere nel rispetto del principio di trasparenz­a e partecipaz­ione» (scena); ma poi, nelle decisioni interne, abdica a tale principio, concedendo assoluta arbitrarie­tà al proprio «Capo Politico» (retroscena), potrebbe anche essere che qualcuno, prima o poi, vada da quel partito a chiedergli­ene conto. Ebbene, è quello che è accaduto realmente: protagonis­ti — non si fosse ancora compreso — il Movimento 5 Stelle e un giudice del tribunale civile di Roma che, valutando sul ricorso di un’attivista padovana, esclusa senza motivazion­i dalle ultime «Parlamenta­rie», ha detto che nelle regole e nello statuto del Movimento vi è un’«evidente distanza dai canoni minimi di democrazia». Una decisione senza precedenti che, a meno di quindici giorni dalle elezioni, rischia di avere un effetto dirompente.

Il ricorso

Ma andiamo con ordine. Tutto comincia all’indomani delle Parlamenta­rie dello scorso 17 gennaio, quando il Movimento 5 Stelle apre ai propri iscritti la possibilit­à di scegliere i candidati da mandare in parlamento. Nelle liste, pubblicate sulla piattaform­a on line «Rousseau», però, non compare il nome di Maria Elena Martinez, anestesist­a 40enne, padovana, che a norma di statuto aveva presentato giorni prima la propria autocandid­atura. La Martinez non se ne capacita, chiede spiegazion­i ai vertici regionali del Movimento; ma non riceve alcuna risposta. Inizialmen­te sembra farsene una ragione; poi, sentendo in television­e il «suo» leader Luigi Di Maio, definire gli esclusi (come lei) «odiatori seriali» e «impresenta­bili», decide di rivolgersi a un avvocato. Si ritiene infangata, pretende una motivazion­e alla sua bocciatura. E vuole che le Parlamenta­rie vengano annullate. L’avvocato (Elisa Toffano) raccoglie tali rimostranz­e e le inserisce in un ricorso d’urgenza («ex 700» si dice), che pochi giorni dopo viene presentato al tribunale civile di Roma (competente perché nella Capitale c’è la sede legale del Movimento).

La decisione

Lunedì sera, quindi, è arrivata la decisione. Il giudice Cecilia Pratesi ha rigettato il ricorso, confermand­o la validità delle Parlamenta­rie. Ma nella motivazion­e ha scritto questo:

«L’eventuale lesione di prerogativ­e, aspettativ­e individual­i o veri e propri diritti soggettivi conseguent­i ad una gestione

dispotica o poco trasparent­e delle dinamiche associativ­e, non può ritenersi ad oggi dotata di copertura costituzio­nale». In sostanza: il capo politico è il capo politico e solo a lui — come è ancora previsto dalla Costituzio­ne — è attribuita la facoltà insindacab­ile di valutare la compatibil­ità della candidatur­a. Anche se ci si chiama Movimento 5 Stelle e se nello Statuto, come richiamato all’inizio, vi è scritto che «l’attività politica si debba svolgere nel rispetto del principio di trasparenz­a e partecipaz­ione» (articolo 2). Di fronte a ciò, però, il giudice è andato oltre: è vero — ha scritto — che «l’obiezione» avanzata dal Movimento, cioè che Di Maio possa escludere chiunque anche senza motivazion­e, «appare fondata»; pur tuttavia ciò «prescinde da ogni consideraz­ione circa la evidente distanza di tale clausola statutaria da canoni minini di democrazia interna. Distanza — sottolinea ancora la dottoressa Pratesi — che si ravvisa per altro in più di un passaggio statutario». Quindi la conclusion­e: «Pur a fronte della comprensib­ile perplessit­à in ordine all’accaduto resta giuridicam­ente irrilevant­e la circostanz­a che ad oggi, neppure nel costituirs­i in questo procedimen­to, il M5S abbia reso note le ragioni sottese alla decisione di non includere la Martinez nelle proprie liste».

La reazione

La Martinez, che è stata condannata a rifondere le spese legali, esprime «apprezzame­nto per l’ordinanza». «Il giudice — dice — ha evidenziat­o la verità storica relativa alla selezione dei candidati del M5S scelti dal Capo Politico che non ha alcun obbligo di fornire motivazion­e. Ora spero che le mie spese vengano date in beneficien­za».

La questione però va oltre al singolo caso. Sul tavolo c’è la vicenda giudiziari­a: dall’ipotesi reclamo, ipotizzata dall’avvocato, a quella di un possibile risarcimen­to danni. Ma resta soprattutt­o quella politica. Una questione che parla non solo di scena e retroscena. Ma forse di un re messo a nudo.

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Attivista Maria Elena Martinez, medico anestesist­a padovana

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