Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il giudice: in M5S non c’è democrazia
Ricorso di un’esclusa, il tribunale respinge ma stronca lo statuto dei 5 Stelle: «Decide il capo»
Un pronunciamento che è destinato a sollevare un caso politico nazionale. Un giudice del tribunale civile di Roma valutando il ricorso (non accolto) di un’attivista padovana dei Cinque Stelle, Maria Elena Martinez, esclusa dalle ultime «Parlamentarie», ha detto che nelle regole e nello statuto del Movimento vi è un’«evidente distanza dai canoni minimi di democrazia». Una decisione senza precedenti, che a pochi giorni dalle elezioni, rischia di avere un effetto dirompente. Il candidato alla Camera Alvise Maniero: «Noi più democratici dei partiti».
C’è quello che si recita sulla scena, e quello che si fa nel retroscena. La vita quotidiana come rappresentazione, la chiamava Goffman. Quando si incrociano politica e giustizia, però, la questione è più complessa. Diciamo, per esempio, che se un partito mette nero su bianco, nel proprio statuto, che «l’attività politica si debba svolgere nel rispetto del principio di trasparenza e partecipazione» (scena); ma poi, nelle decisioni interne, abdica a tale principio, concedendo assoluta arbitrarietà al proprio «Capo Politico» (retroscena), potrebbe anche essere che qualcuno, prima o poi, vada da quel partito a chiedergliene conto. Ebbene, è quello che è accaduto realmente: protagonisti — non si fosse ancora compreso — il Movimento 5 Stelle e un giudice del tribunale civile di Roma che, valutando sul ricorso di un’attivista padovana, esclusa senza motivazioni dalle ultime «Parlamentarie», ha detto che nelle regole e nello statuto del Movimento vi è un’«evidente distanza dai canoni minimi di democrazia». Una decisione senza precedenti che, a meno di quindici giorni dalle elezioni, rischia di avere un effetto dirompente.
Il ricorso
Ma andiamo con ordine. Tutto comincia all’indomani delle Parlamentarie dello scorso 17 gennaio, quando il Movimento 5 Stelle apre ai propri iscritti la possibilità di scegliere i candidati da mandare in parlamento. Nelle liste, pubblicate sulla piattaforma on line «Rousseau», però, non compare il nome di Maria Elena Martinez, anestesista 40enne, padovana, che a norma di statuto aveva presentato giorni prima la propria autocandidatura. La Martinez non se ne capacita, chiede spiegazioni ai vertici regionali del Movimento; ma non riceve alcuna risposta. Inizialmente sembra farsene una ragione; poi, sentendo in televisione il «suo» leader Luigi Di Maio, definire gli esclusi (come lei) «odiatori seriali» e «impresentabili», decide di rivolgersi a un avvocato. Si ritiene infangata, pretende una motivazione alla sua bocciatura. E vuole che le Parlamentarie vengano annullate. L’avvocato (Elisa Toffano) raccoglie tali rimostranze e le inserisce in un ricorso d’urgenza («ex 700» si dice), che pochi giorni dopo viene presentato al tribunale civile di Roma (competente perché nella Capitale c’è la sede legale del Movimento).
La decisione
Lunedì sera, quindi, è arrivata la decisione. Il giudice Cecilia Pratesi ha rigettato il ricorso, confermando la validità delle Parlamentarie. Ma nella motivazione ha scritto questo:
«L’eventuale lesione di prerogative, aspettative individuali o veri e propri diritti soggettivi conseguenti ad una gestione
dispotica o poco trasparente delle dinamiche associative, non può ritenersi ad oggi dotata di copertura costituzionale». In sostanza: il capo politico è il capo politico e solo a lui — come è ancora previsto dalla Costituzione — è attribuita la facoltà insindacabile di valutare la compatibilità della candidatura. Anche se ci si chiama Movimento 5 Stelle e se nello Statuto, come richiamato all’inizio, vi è scritto che «l’attività politica si debba svolgere nel rispetto del principio di trasparenza e partecipazione» (articolo 2). Di fronte a ciò, però, il giudice è andato oltre: è vero — ha scritto — che «l’obiezione» avanzata dal Movimento, cioè che Di Maio possa escludere chiunque anche senza motivazione, «appare fondata»; pur tuttavia ciò «prescinde da ogni considerazione circa la evidente distanza di tale clausola statutaria da canoni minini di democrazia interna. Distanza — sottolinea ancora la dottoressa Pratesi — che si ravvisa per altro in più di un passaggio statutario». Quindi la conclusione: «Pur a fronte della comprensibile perplessità in ordine all’accaduto resta giuridicamente irrilevante la circostanza che ad oggi, neppure nel costituirsi in questo procedimento, il M5S abbia reso note le ragioni sottese alla decisione di non includere la Martinez nelle proprie liste».
La reazione
La Martinez, che è stata condannata a rifondere le spese legali, esprime «apprezzamento per l’ordinanza». «Il giudice — dice — ha evidenziato la verità storica relativa alla selezione dei candidati del M5S scelti dal Capo Politico che non ha alcun obbligo di fornire motivazione. Ora spero che le mie spese vengano date in beneficienza».
La questione però va oltre al singolo caso. Sul tavolo c’è la vicenda giudiziaria: dall’ipotesi reclamo, ipotizzata dall’avvocato, a quella di un possibile risarcimento danni. Ma resta soprattutto quella politica. Una questione che parla non solo di scena e retroscena. Ma forse di un re messo a nudo.