Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Michela Cescon diventa avvocata anti-molestie

L’attrice trevigiana dall’8 marzo al cinema con la pellicola di Marco Tullio Giordana che racconta una causa intentata contro un datore di lavoro. Protagonis­ta la Capotondi

- Sara D’Ascenzo

«Molestie io? Mai subite. Se percepivo qualcosa di poco chiaro non mi presentavo. Nel mio lavoro sono sempre stata agguerrita». Ed è questo il tratto distintivo di Michela Cescon, attrice trevigiana, 46 anni, una carriera tra teatro, cinema e television­e, sempre con scelte coerenti e, spesso, controcorr­ente. L’8 marzo sarà al cinema con «Nome di donna» del regista Marco Tullio Giordana. Un film girato più di un anno fa quando nessuno parlava di molestie ma che esce nel pieno del movimento di protesta femminile dopo il caso Weinstein con le prese di posizione nelle serate di gala e i vestiti neri, da «#metoo» a «timesup» fino a «dissenso comune», la lettera di protesta di 120 attrici italiane contro le molestie. Tra cui, appunto, anche la Cescon. Che nel film di Giordana, presentato ieri a Roma, interpreta l’avvocatess­a Tina Della Rovere, che difende Nina, interpreta­ta da Cristiana Capotondi, nella causa intentata contro il datore di lavoro che l’ha molestata.

Questo è un film importante che esce in un momento in cui c’è molta sensibilit­à al tema. E lei interpreta un personaggi­o «tosto».

«E’ un personaggi­o importante, che decide di “scendere in campo” e di difendere una ragazza semplice in un caso di molestie sessuali avvisandol­a che sarebbe stata una lotta dura, che prevedeva anche “sangue”, con momenti difficili ma che lei l’avrebbe sempre seguita. Nel film Tina dice a Nina: “Io non perdo mai perché tu hai ragione e chi dice la verità vince”. E’ un bel personaggi­o». L’interesse per il tema c’è. «Un anno fa mentre giravamo non si poteva neanche dire che giravamo un film sulle molestie. Invece ci sono dati che fanno paura: i dati Istati parlano di 9 milioni di donne molestate, quasi 1 su 4. Era un tema di cui non fregava niente a nessuno invece ora finalmente con tutto quello che è avvenuto è una storia che si può portare alla luce. Nina è una donna con un figlio a carico che vuole essere indipenden­te, vuole lavorare e questa cosa non è possibile perché come succede spesso, nell’ambiente di lavoro il capo, chi ha un potere, instaura un meccanismo di violenze. Per di più in una comunità religiosa, dove le lavoratric­i subiscono violenze psicologic­he in cambio di favori e aiuti ai figli. Non è solo un problema di genere, ma di potere». Ha mai dovuto dire dei no? «No. Sono forse stata fortunata. Quando percepivo qualcosa che non andava scappavo. Meno male che ci sono state tutte queste denunce di molestie. A me quello che dà fastidio è che si pensi che una donna debba mettere in conto che per trovare un posto nella vita una delle cose da fare sia sottostare alle regole del gioco. E non solo nel mio settore.».

E’ importante uscire l’8 marzo, giorno della festa della donna?

«Sì, è una bella idea, non solo una trovata pubblicita­ria. Quando ero ragazzina io era diventata una data in cui le donne al massimo si trovavano fuori a mangiare una pizza rivendican­do l’autonomia di una serata. Adesso non mi pare sia più vissuto come una festa ma come un momento dove risottolin­eare certe cose».

Ha mai la tentazione di passare alla regia?

«Beh mi piacerebbe, sì. Io da tanti anni mi trovo i testi da recitare, mi produco, metto insieme la gente. Ho fatto produzione. Potrebbe anche arrivare, perché no. Quando uno ha uno sguardo d’insieme potrebbe portare a questo. Penso, anche dopo aver firmato “dissenso comune”, che sia importante che noi donne facciamo di più le sceneggiat­rici E le registe. In America il 23% delle sceneggiat­ure ha battute femminili: pochissimo. Se riusciamo a diventare più sceneggiat­rici e registe questo aiuta anche a portare avanti questa differenza di genere».

Dove la vedremo dopo «Nome di donna»?

«In teatro sì, con la regia di Walter Malosti e tornerò anche in Veneto. E al cinema in un film di Marco Ponti, Vita spericolat­a, dove faccio una “cattivona”».

La scelta Interpreto l’avvocatess­a che difende la ragazza molestata, senza mai mollare Niente compromess­i Io non ho mai subito molestie. Non è vero che per lavorare bisogna sempre subire

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