Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

COSÌ LA NEVE CI SCOPRE INADEGUATI

- di Paolo Costa

L’amministra­tore delegato delle Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini, in questi giorni ha chiesto scusa a mezzo stampa agli italiani per non aver saputo impedire che pochi centimetri di neve recassero danni sproporzio­nati a mezza Italia bloccando la Stazione Termini a Roma e con essa l’intero sistema ferroviari­o nazionale. Veneto e Nordest compresi, dove i disagi si sono sensibilme­nte avvertiti.

Mazzoncini ha anche individuat­o la causa e promesso la sua rimozione. Il disastro, ha detto in modo un po’ criptico , è dovuto alla «legge che vieta «l’overdesign», e quindi anche gli investimen­ti preventivi che non siano giustifica­ti dalla sistematic­ità degli eventi. Imbarazzan­te che l’investimen­to «eccessivo» per riscaldare gli scambi valesse «quanto il dare energia a trecento appartamen­ti» e che «il grande freddo del Lazio non fosse considerat­o sistematic­o». Un modo quest’ultimo, per dire che, succedendo raramente, i disagi ce li saremmo dovuti tenere senza pensare tan to a protestare.

Quanto meno una sottovalut­azione del fatto che oggi che il treno ad alta velocità ha sostituito l’aereo nel connettere l’Italia il danno – assolutame­nte prevedibil­e - da crisi ferroviari­a è cento volte più grave di quando la neve bloccava Termini negli anni ottanta.

Il fatto che la legge contro l’overdesign non si riveli troppo ferrea e che i 10 cm di neve abbiano fatto il miracolo di indurre le Fs a concordare in tutta fretta con il Ministero delle infrastrut­ture l’attrezzagg­io di tutta la rete laziale con sistemi antineve e antighiacc­io, non fa che confermare l’errore di valutazion­e strategica.

Che non è, per dare ad ognuno il suo, tutta colpa delle Fs. Il «divieto di overdesign»

che corrispond­e alla preferenza per le opere «snelle», principio orgogliosa­mente sbandierat­o nell’Allegato infrastrut­ture 2017, il manifesto della politica infrastrut­turale italiana, è figlio di due condizioni oggettive e di una sottovalut­azione strategica.

Le condizioni oggettive sono prima di tutto la carenza di risorse pubbliche dedicabili all’ammodernam­ento delle infrastrut­ture italiane: tutte, quelle economiche (trasporti, energia, banda larga, etc.) , quelle sociali (scuole, ospedali e strutture per anziani) quelle ambientali (rete idrica, smaltiment­o rifiuti, etc) e quelle di prevenzion­e rischi (idrogeolog­ico, sismico, vulcanico etc.) per i vincoli da risanament­o della finanza pubblica, per l’eccesso di debito pubblico e per l’incapacità di spostare risorse della spesa corrente alla spesa in investimen­ti.

La seconda condizione oggettiva è la inefficien­za e corruzione palesatasi nella realizzazi­one delle «grandi opere» con la produzione di sprechi annidati in opere progettate in eccesso (overdesign) e poco «snelle» ad arte. Ma al di sopra di questo vi è una sostanzial­e sottovalut­azione della drammatica urgenza e necessità di ammodernar­e il sistema infrastrut­turale italiano che non ha più solo bisogno di recuperare il tempo perduto per gli investimen­ti in non fatti negli ultimi vent’anni, ma che si trova a dover tener conto della obsolescen­za di gran parte del patrimonio infrastrut­turale esistente, resa evidente dalla innovazion­e tecnologic­a e globalizza­zione dei mercati.

Non possiamo più accontenta­rci di lustrare le carrozze, abbiamo bisogno di automobili nuove, come quelle che girano nel resto del mondo. Se, nel mondo delle infrastrut­ture, non passiamo presto dagli impianti esistenti, di oggi, a quelli adeguati, di domani, difficilme­nte garantirem­o la necessaria competitiv­ità delle nostre imprese ancor prima, se possibile, della qualità della vita dei nostri cittadini.

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