Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
COSÌ LA NEVE CI SCOPRE INADEGUATI
L’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini, in questi giorni ha chiesto scusa a mezzo stampa agli italiani per non aver saputo impedire che pochi centimetri di neve recassero danni sproporzionati a mezza Italia bloccando la Stazione Termini a Roma e con essa l’intero sistema ferroviario nazionale. Veneto e Nordest compresi, dove i disagi si sono sensibilmente avvertiti.
Mazzoncini ha anche individuato la causa e promesso la sua rimozione. Il disastro, ha detto in modo un po’ criptico , è dovuto alla «legge che vieta «l’overdesign», e quindi anche gli investimenti preventivi che non siano giustificati dalla sistematicità degli eventi. Imbarazzante che l’investimento «eccessivo» per riscaldare gli scambi valesse «quanto il dare energia a trecento appartamenti» e che «il grande freddo del Lazio non fosse considerato sistematico». Un modo quest’ultimo, per dire che, succedendo raramente, i disagi ce li saremmo dovuti tenere senza pensare tan to a protestare.
Quanto meno una sottovalutazione del fatto che oggi che il treno ad alta velocità ha sostituito l’aereo nel connettere l’Italia il danno – assolutamente prevedibile - da crisi ferroviaria è cento volte più grave di quando la neve bloccava Termini negli anni ottanta.
Il fatto che la legge contro l’overdesign non si riveli troppo ferrea e che i 10 cm di neve abbiano fatto il miracolo di indurre le Fs a concordare in tutta fretta con il Ministero delle infrastrutture l’attrezzaggio di tutta la rete laziale con sistemi antineve e antighiaccio, non fa che confermare l’errore di valutazione strategica.
Che non è, per dare ad ognuno il suo, tutta colpa delle Fs. Il «divieto di overdesign»
che corrisponde alla preferenza per le opere «snelle», principio orgogliosamente sbandierato nell’Allegato infrastrutture 2017, il manifesto della politica infrastrutturale italiana, è figlio di due condizioni oggettive e di una sottovalutazione strategica.
Le condizioni oggettive sono prima di tutto la carenza di risorse pubbliche dedicabili all’ammodernamento delle infrastrutture italiane: tutte, quelle economiche (trasporti, energia, banda larga, etc.) , quelle sociali (scuole, ospedali e strutture per anziani) quelle ambientali (rete idrica, smaltimento rifiuti, etc) e quelle di prevenzione rischi (idrogeologico, sismico, vulcanico etc.) per i vincoli da risanamento della finanza pubblica, per l’eccesso di debito pubblico e per l’incapacità di spostare risorse della spesa corrente alla spesa in investimenti.
La seconda condizione oggettiva è la inefficienza e corruzione palesatasi nella realizzazione delle «grandi opere» con la produzione di sprechi annidati in opere progettate in eccesso (overdesign) e poco «snelle» ad arte. Ma al di sopra di questo vi è una sostanziale sottovalutazione della drammatica urgenza e necessità di ammodernare il sistema infrastrutturale italiano che non ha più solo bisogno di recuperare il tempo perduto per gli investimenti in non fatti negli ultimi vent’anni, ma che si trova a dover tener conto della obsolescenza di gran parte del patrimonio infrastrutturale esistente, resa evidente dalla innovazione tecnologica e globalizzazione dei mercati.
Non possiamo più accontentarci di lustrare le carrozze, abbiamo bisogno di automobili nuove, come quelle che girano nel resto del mondo. Se, nel mondo delle infrastrutture, non passiamo presto dagli impianti esistenti, di oggi, a quelli adeguati, di domani, difficilmente garantiremo la necessaria competitività delle nostre imprese ancor prima, se possibile, della qualità della vita dei nostri cittadini.