Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
CONFINDUSTRIA, FUSIONE E STRAPPO
La fusione tra le associazioni confindustriali di Treviso e Padova è una buona notizia, che tuttavia si accompagna a una riflessione amara. La neonata Assindustria Veneta..
La fusione tra le associazioni confindustriali di Treviso e Padova è una buona notizia, che tuttavia si accompagna a una riflessione amara. La neonata Assindustria Veneta (manca ancora qualche passaggio formale, ma il dado è tratto) diventerà la seconda organizzazione territoriale di Confindustria: con 3.400 imprese rappresentate, 160 mila addetti totali e 16 milioni all’anno di contributi versati, si collocherà dietro ad Assolombarda e davanti a Confindustria Emilia, a sua volta frutto dell’unione tra Bologna, Modena e Ferrara. La scelta dei presidenti, la trevigiana Maria Cristina Piovesana e il padovano Massimo Finco, è chiarissima: la massa critica conta, eccome. Tanto sul piano politico quanto sul versante, concreto, dei servizi offerti agli associati.
La trasformazione del tessuto produttivo nordestino richiede di moltiplicare gli sforzi quanto meno su tre terreni chiave: la formazione del capitale umano, l’internazionalizzazione, lo switch verso le tecnologie digitali di Industria 4.0. Non basta. Se sullo sfondo, in nome dello sviluppo dell’intero Paese, c’è la creazione di un asse privilegiato tra Veneto e Lombardia, è evidente che il Nordest deve mettere in campo interlocutori credibili e sostanzialmente di pari peso specifico. In questo scenario, Assindustria Veneta è una novità di assoluto rilievo e si propone da subito come un player di livello nazionale. Qui però cominciano le note dolenti. Il matrimonio fra Treviso e Padova certifica il tramonto dell’ipotesi di una Confindustria unica del Veneto. Un progetto da anni sul tavolo, ma mai decollato. La stessa Confindustria Veneto, l’organismo regionale, che avrebbe dovuto spingere in questa direzione, non ha mai saputo (o voluto) svolgere un ruolo trainante per superare le difficoltà e gli ostacoli. Alla fine hanno sempre prevalso le gelosie, le logiche di campanile (i vecchi confini provinciali, oggi più che mai anacronistici), la difesa delle poltrone. Se non bastasse, ci si sono messi di mezzo gli schieramenti «politici» per l’elezione del presidente nazionale di Confindustria: Vincenzo Boccia da una parte, sostenuto da Verona, Vicenza e Venezia-Rovigo; Alberto Vacchi dall’altra, appoggiato da Treviso e Padova. Una frattura difficile da risanare. Ultima conferma, la governance della Fondazione Nordest, con Piovesana e Finco che hanno preferito rimanere alla finestra e aspettare l’avvio del nuovo corso sotto la direzione scientifica di Carlo Carraro. Insomma, per l’ennesima volta il Veneto si mostra incapace di fare (davvero) sistema. Con l’aggravante che il mondo imprenditoriale dovrebbe essere di esempio per tutti, persino per l’aggregazione dei comuni. Assindustria Veneta parla di «sistema aperto»? Perfetto, bisogna sperare che la compagine possa progressivamente e rapidamente allargarsi. Non è un risiko. In gioco c’è la competitività del territorio.