Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’atelier Bevilacqua e il fervore del Novecento
In mostra gli artisti veneziani più significativi di quel periodo, da Vedova a Mori
Gli studi d’artista della Bevilacqua La Masa di
Venezia inizialmente erano all’ultimo piano di Palazzo Pesaro, poi vennero trasferiti al vicino Palazzo Carminati. Vi sono passati alcuni tra gli autori più significativi del Novecento veneziano e veneto. «Erano - racconta Stefano Romagna, figlio di Miro, titolare di uno studio dal 1958 al 1964 - gli atelier di artisti squattrinati, alcuni pure ci dormivano, anche se era vietato stare di notte, a volte si portavano le modelle».
Il clima bohémien di quei luoghi vissuti d’arte viene restituito dalla mostra «Atelier Venezia», a cura di Stefano Cecchetto, alla Galleria di Piazza San Marco da domani al 29 aprile.
L’Istituzione Fondazione Bevilacqua La Masa celebra così i 120 anni dal lascito testamentario della duchessa Felicita - che faceva menzione alla necessità di dare in uso studi a giovani artisti «indigenti e meritevoli» - attraverso 95 lavori di 40 artisti che hanno occupato gli atelier dal 1901 al 1965.
L’excursus inizia con due terrose «Stagioni» di Ugo Valeri, a introdurre l’atmosfera di quella straordinaria rivoluzione pittorica di Ca’ Pesaro primo Novecento, che rivive nei quadri di Gino Rossi impastati d’azzurro, di Umberto Moggioli e Guido Marussig ma anche nelle tele di artisti che la mostra fa riscoprire come Gian Luciano Sormani e Umberto Zini.
Tra gli anni Venti e Quaranta c’è spazio per i ritratti di Eugenio Da Venezia e Fioravante Seibezzi; e per un bel «Giardino» di stampo neoimpressionista firmato Neno Mori.
Emilio Vedova abita uno studio tra il 1940 e il 1946. Sperimenta nuovi linguaggi, con «Il guado» ecco irrompere la modernità del segno.
In «Tetti da Palazzo Carminati» il già citato Romagna guarda dalla finestra del suo atelier, come pure Davide Orler. Si rincorrono le correnti artistiche.
Le tele picassiane di Riccardo Schweizer, lo spazialismo di Saverio Rampin e Vinicio Vianello, le affinità astratte di Tancredi Parmeggiani e Raoul Schultz.
L’unica donna in mostra è Valeria Rambelli col «Ritratto di Ottone Marabini», suo marito artista conosciuto negli studi.
Passando per «La grande serra» di Renato Borsato, l’approdo della mostra è negli anni Sessanta, con Carmelo Zotti, Ennio Finzi, Vincenzo Eulisse.