Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Omaggio a Roiter: 200 foto a Venezia alla Galleria Tre Oci

Alla galleria Tre Oci di Venezia da oggi fino al 26 agosto 200 opere dell’artista veneziano: un racconto lungo 60 anni Dagli scatti neorealist­i, ai paesaggi, alla sua città del cuore

- di Fabio Bozzato

otografare l’Italia non è difficile. E’ impossibil­e»: così scriveva Fulvio Roiter, uno dei maestri veneziani che hanno attraversa­to il mondo con la macchina analogica al collo. Un perfezioni­sta inquieto, che coglieva l’attimo o rimuginava per giorni un’inquadratu­ra. Così lo descrivono tutti, a due anni dalla sua scomparsa. Non era uno che voleva piacere, anzi: è ricordo comune quanto fosse testardo e ruvido, eppure tenero e capace di uno sguardo invidiatog­li da tutti. A omaggiarlo arriva ora una mostra, curata da Denis Curti e prodotta da Civita Tre Venezie per la Fondazione di Venezia, alla Casa dei Tre Oci alla Giudecca (fino al 26 agosto, catalogo Marsilio). Duecento opere, nove sezioni: un racconto lungo 60 anni di attività, dagli scatti neorealist­i del dopoguerra fino ai paesaggi che diventano presenze astratte. «Fulvio Roiter. Fotografie. 1948-2007»: s’intitola sempliceme­nte così, «ma mi sarebbe piaciuto chiamarla “Un altro Roiter” - confessa il curatore – perché qui lo si può osservare muoversi fuori dalle immagini simbolo su Venezia che lo hanno reso famoso».

Ci hanno messo due anni di lavoro frugando tra le migliaia di scatti, complice la moglie, fotoreport­er anche lei, Louise “Lou” Embo. «All’inizio lo accompagna­vo ovunque per aiutarlo, poi mi sono ribellata – sorride, ricordando i tanti viaggi fatti assieme – Allora ci dicevamo: io vado a destra, io a sinistra. Così è nato ad esempio il libro sulla Sardegna». E aggiunge Lou: «Quando qualcosa lo colpiva, la sua testa correva velocissim­a: già sapeva l’inquadratu­ra migliore, la luce, il risultato e persino in che ordine impaginare la foto». Ne sono nati più di cento volumi. E nel 1956 ha strappato (uno dei tre italiani a riuscirci) il prestigios­o premio Nadar. Il meglio lo dava in bianco e nero. Come l’immagine della mostra: un uomo in bicicletta, «Sulla strada GelaNiscem­i», preso di spalle, una fascina e una zappa legate dietro. Corre su un sentiero lunghissim­o, il cielo enorme. Una maestria compositiv­a che non abbandoner­à mai. Spiega Curti: «Il suo è un bianco e nero aspro, contrastat­o, ruvido. Il suo desiderio di raccontare incontrava il mondo attraverso un attrito costante». Andalusia, 1955: per caso un giorno incontra in una strada assolata una coppia, lui con bimbo dentro un borsone appeso al collo e lei incinta, il grembiule a fiori. Torna indietro, li ferma e non può resistere: li coglie quasi intimoriti, lei con le mani strette al volto e lui vicino, il capo un po’ chino e le mani a reggere il fagotto. Roiter sapeva imprimere il commovente, come in questi casi.

«Ci ha mostrato la bellezza dell’arte nella normalità dei volti», dice il sindaco Luigi Brugnaro, che promette di dedicare uno spazio al fotografo veneziano, magari in terraferma. E poi i suoi paesaggi: immersi nel biancore della neve rotto dai profili scheletric­i degli arbusti (“Umbria”, 1954) o drammatica­mente desolati sotto il cielo gonfio della “Sierra Morena” (1968) o, ancora, ipnotici e geometrici come gli “Uliveti a Sfax” o il pattern di zolle coltivate a vite sulle pendici dell’Etna (1953). Scriveva Alberto Moravia: «E’ un fotografo che giustifica la mia idea che la fotografia quanto più è bella tanto più è misteriosa».

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 ??  ?? «Acqua alta in piazza San Marco» Una foto del 2002 di Fulvio Roiter - Fondazione Roiter
«Acqua alta in piazza San Marco» Una foto del 2002 di Fulvio Roiter - Fondazione Roiter

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