Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Un altro giudice: sì alla causa a Intesa E a Verona indagati i bancari
Azioni Veneto Banca, giudice civile di Vicenza permette di chiedere i danni a Intesa E a Verona il gip indaga per truffa 4 funzionari che alterarono la Mifid per venderle
La sentenza di un giudice di Vicenza autorizza un pensionato bassanese, ex socio di Veneto Banca, a chiamare in causa Banca Intesa per i danni lamentati con l’azzeramento delle azioni. Intanto, a Verona, quattro funzionari dipendenti della stessa Veneto Banca sono indagati per truffa ai danni di una pensionata.
Ex popolari, ripartono le cause per le azioni azzerate. Erano state bloccate dal decreto di liquidazione di Bpvi e Veneto Banca del giugno 2017. Ma come in una situazione tenuta a lungo innaturalmente compressa, alla fine finiscono per rispuntare fuori. Con due decisioni di rilievo, solo ieri, che riaprono la partita dei risarcimenti per via giudiziaria delle azioni azzerate. Succede tra Vicenza e Verona, dove due decisioni di altrettanti giudici, uno civile e l’altro penale, stabiliscono altri due precedenti di rilievo, in una situazione tutta in divenire.
La prima, a Vicenza, dove per la seconda volta un giudice permette di far causa a Intesa sulle azioni, nonostante il divieto del decreto di liquidazione con cui il colosso bancario aveva acquisito la parte «buona» di Bpvi e Veneto Banca. L’esito lo si vedrà. Ma intanto il round provvisorio non è di poco conto.
Il caso riguarda un pensionato bassanese di 73 anni socio di Veneto Banca. A mettere nero su bianco l’autorizzazione a chiamare Intesa Sanpaolo, in una sentenza del 14 marzo, è il giudice civile Luigi Giglio, che ha dichiarato l’improcedibilità nei confronti di Veneto Banca in liquidazione e dato il via libera alla prosecuzione della causa civile che il bassanese, assistito dall’avvocato Emanuela Marsan, legale dell’associazione dei consumatori Adusbef, promuoverà ad Intesa (l’udienza il 12 ottobre). La sentenza di mercoledì ricalca il ragionamento del Gup di Roma, Lorenzo Ferri, che nel processo penale per il crac di Veneto Banca ha disposto la citazione di Intesa come responsabile civile. E non attende l’udienza preliminare del 27 marzo, quando il giudice si pronuncerà dopo la costituzione e le eccezioni presentate da Intesa. «Una sentenza importante, che apre lo spiraglio ad altre possibilità», commenta l’avvocato Marsan.
Sei pagine in cui Giglio, rispetto al decreto di liquidazione, ricalca la linea del Gup di Roma, sostenendo che «la limitazione di responsabilità» che impedisce di rivalersi su Intesa riguarda solo i rapporti interni del contratto tra questa e la Veneto Banca in liquidazione, «e non già i terzi creditori (neppure quelli espressamente esclusi dal perimetro della cessione)». Il giudice esclude Veneto Banca in liquidazione e ritiene «opportuno il prosieguo del giudizio con la chiamata in causa di Intesa Sanpaolo in qualità di successore a titolo particolare del rapporto controverso».
Rapporto, in particolare, legato ad un conto corrente da Veneto Banca transitato ad Intesa, insieme al consueto fido di conto corrente a tassi agevolati, sostitutivo di una vendita non avvenuta, di cui Intesa chiede ora il rientro. La storia del pensionato, che aveva gestito per molto tempo una piccola attività, è probabilmente la storia di molti: aveva comprato azioni di Veneto Banca fin dal 1994 arrivando a un valore superiore ai 200 mila euro. In previsione di ristrutturare casa aveva messo in vendita le azioni, senza però riscontri. Così in filiale, nel 2014, lo avevano convinto ad aprire un credito in conto corrente in attesa della vendita: 130 mila euro da estinguere in sei mesi, circostanza mai verificata (e intanto gli interessi crescono). L’avvocato Marsan aveva chiesto che il 73 enne non dovesse restituire il prestito, oltre al risarcimento di di 65 mila euro, valore delle azioni detenute dal socio.
E sempre Veneto Banca riguarda nello specifico la vicenda giudiziaria, stavolta penale, di Verona. Dove una risparmiatrice perde l’80% del capitale investito con Veneto Banca (poco meno di 80 mila euro) in azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari «ad alto e medio rischio», sporge denuncia, per due volte il pm chiede l’archiviazione e in entrambi i casi il gip rispedisce gli atti in procura. Finché ora, per rispondere della presunta «truffa contrattuale» dell’istituto di credito ai danni di una pensionata ultrasettantenne di Verona, si ritrovano indagati i 4 funzionari della filiale di Veneto Banca di Borgo Venezia, quartiere del capoluogo, che, tra l’avvio dell’investimento nel 2008 e l’esposto-denuncia del 2016 hanno gestito le sorti finanziarie dell’anziana.
A partire da Gabriele Erseni, il funzionario che «le propose gli investimenti facendole firmare la documentazione» e di cui il gip Luciano Gorra ha ordinato l’imputazione coatta al pm Valeria Ardito. Che dovrà inoltre iscrivere nel registro degli indagati: il direttore di filiale Franco Montini, il suo superiore Alessandro Fasoli, che «nel 2014 rassicurò la parte offesa che a breve si sarebbe dato corso al disinvestimento» e il funzionario Roberto Girardi, che «invece di adoperarsi per il disinvestimento, propose alla risparmiatrice di sottoscrivere un mutuo del medesimo importo, ricevendo un netto rifiuto». Di qui, nel 2016, la decisione dell’anziana di sporgere denuncia affidandosi al legale Davide Adami che sottolinea: «È la prima volta in Italia che finiscono sotto accusa non i vertici bancari, ma i diretti esecutori».
Secondo il difensore di Erseni, l’avvocato Andrea Bacciga, «nel 2008 non c’era alcuna avvisaglia del futuro tracollo di Veneto Banca» e inoltre non sussisterebbero riscontri dell’«inconsapevole sottoscrizione della Mifid». Di tutt’altro avviso invece l’avvocato Adami («la mia cliente aveva precisato all’atto della firma di voler mantenere la liquidità del suo patrimonio per qualsiasi evenienza») e lo stesso gip, a cui parere «la narrazione della querelante secondo cui non le sarebbe stata fornita una adeguata informazione sulla natura e sui rischi dell’investimento dei suoi risparmi nelle azioni della banca, appare intrinsecamente credibile e trova un elemento di conferma nel fatto che le circostanze riportate nei moduli Mifid fatti sottoscrivere alla risparmiatrice, tali per cui la stessa avrebbe una notevole dimestichezza con operazioni di investimento in strumenti finanziari nonché una elevata propensione al rischio, sono sicuramente inveritieri».