Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Omicidio nella casa dei frati, trent’anni all’ex detenuto
Padova, condannato Santino Macaluso. Spaccò la testa a un compagno che lo aveva accusato di furto
È stato un delitto per difendere l’onore. Il suo. Nessuno doveva permettersi di accusarlo di aver rubato; e nessuno doveva permettersi anche di non salutarlo davanti a tutti. La Corte d’Assise di Padova ha accolto le richieste fatte dal pubblico ministero Daniela Randolo e ha condannato Santino Macaluso, 55 anni di Agrigento, a 30 anni di carcere per omicidio volontario. È lui dunque che il 6 novembre 2015 ha ucciso a bastonate il detenuto sardo Antonio Floris, 61enne, nascondendone il corpo sotto una catasta di legno. Il fatto avvenne nella dimora dei padri Mercedari, a pochi chilometri dal centro storico, in una struttura in cui i carcerati lavorano in regime di semilibertà. Nel luglio del 2015 Macaluso aveva appena finito di scontare 26 anni per un duplice omicidio avvenuto in Sicilia, dove aveva ucciso il cognato, che aveva osato abbandonare sua sorella, e la sua nuova giovane amante. Giunto il «fine pena» aveva continuato però a lavorare, come quando era detenuto e in semilibertà, per i padri Mercedari. Faceva piccoli lavori di manutenzione che lo tenevano occupato e gli facevano metter via qualche soldo. Lavorava lì anche Antonio Floris, sardo, che stava scontando una pena per un tentato omicidio avvenuto in Sardegna. Negli anni addietro nacque una grande amicizia tra i due, all’ombra del carcere. Ma con l’arrivo dell’autunno il rapporto si incrinò. Floris accusò l’ormai ex amico di avergli portato via del denaro che custodiva in cella, denaro di cui solo Macaluso era a conoscenza. Quell’accusa, mossa davanti agli altri carcerati, aveva profondamente offeso Macaluso. Ma ancor più grande era stata l’offesa per avergli tolto il saluto di fronte a tutti. Quello è stato un affronto inaccettabile per Macaluso, un’onta da lavare con il sangue, secondo il pm, e si suppone anche per la Corte che ha accolto a pieno la richiesta di condanna. Ad incastrare il siciliano era stato un berrettino che l’assassino indossava la sera dell’omicidio. A suo carico inoltre Macaluso aveva l’immediata fuga a Udine, da quella che lui aveva detto essere la sua fidanzata. Pesante il quadro probatorio anche a causa degli alibi fasulli dati alla squadra Mobile che indagava. Macaluso venne arrestato nel marzo del 2016 a Udine. Ieri il giudice, oltre al carcere, ha condannato l’imputato al risarcimento della famiglia Floris con 50mila euro. «Magistrale il lavoro della procura – ha affermato a sentenza avvenuta l’avvocato Francesco Murgia, legale dei Floris – è stata fatta giustizia». Macaluso, ieri in aula vestito come sempre di nero in fianco al suo legale Annamaria Marin, alla lettura della sentenza non ha battuto ciglio.