Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Pd ai minimi ma Bisato resta in sella «Il Nazareno ci dia più autonomia»
E la Lega commissaria tutti i segretari provinciali eletti a Roma
Pioggia, vento, freddo. PADOVA Cielo plumbeo. E la direzione del Pd, in tutte le sue cinquanta sfumature di grigio. L’argomento, certo, non aiuta: si deve discutere del risultato delle Politiche, un mesto 16,7% che fa dei dem il terzo partito in Veneto dopo la Lega (32,2%) e il Movimento Cinque Stelle (24,4%), confermando al centesimo il dato delle Regionali 2015 ma in calo di quasi 5 punti rispetto al 2013 (21,3%) e lasciamo stare le Europee 2014 (37,5% ma il dato viene oramai considerato «falsato» dai politologi d’ogni ordine a grado, si era all’apice dell’onda renziana poi finita come si sa).
Il primo dato politico è che non si è votato su nulla e no, il segretario regionale Alessandro Bisato non si è dimesso né nessuno ha chiesto le sue dimissioni. Erano assenti i due mastini della minoranza, Alessandro Naccarato e Graziano Azzalin, ma in ogni caso pare che la scelta di non picconare il segretario si spieghi, più che altro, con la mancanza di alternative: cambierebbe qualcosa oggi per il Pd del Veneto se al posto di Bisato ci fosse qualcun altro?, si sono chiesti gli stessi renziani. La risposta è stata no e quindi avanti così, in attesa che si riassesti il quadro nazionale col rimescolamento delle correnti al Nazareno. La direzione è stata comunque
Fracasso Siamo rimasti troppe volte schiacciati dal partito nazionale
parecchio partecipata, iniziata alle 11 è proseguita fino alle 14. In ossequio alla trasparenza i giornalisti sono stati lasciati fuori (forse la segreteria si attendeva chissà quale resa dei conti e non voleva spettatori), dopo i rituali mugugni sulla composizione delle liste alla fine è stata diramata una nota di Bisato che invita ad aprire «fasi nuove» con confronti «a tutto campo».
Molta la preoccupazione alla vigilia delle Comunali di Vicenza, Treviso e San Donà, dove i sindaci uscenti sono tutti del Pd ma si rischia una corsa azzoppata dall’aura negativa che circonda il partito, quasi disperata la situazione in vista delle Regionali del 2020 («Zaia ha ormai coperto col suo mantello tutto il Veneto, noi siamo totalmente residuali»), gli interventi più incisivi, a quel che si racconta, sono stati quelli di Pierpaolo Baretta («Vero padre nobile del partito, è stato protagonista di un discorso propositivo e costruttivo, non scontato visto il trattamento ricevuto al momento della ricandidatura» sottolinea un parlamentare), di Vanessa Camani per la minoranza (che ha accettato l’invito di Bisato ad entrare in cabina di regia, senza che ciò significhi «alcuna condivisione delle responsabilità della sconfitta»), di Giorgio Santini e Roger De Menech (che ha chiesto «messaggi più radicali e incisivi» perché nella situazione politica attuale «ambiguità e continui distinguo confondono l’elettorato») e del capogruppo in Regione Stefano Fracasso, tornato a battere sul tema dell’autonomia in una duplice direzione: amministrativa ma anche politica, del partito. «Il Pd del Veneto - ha detto Fracasso - ha l’urgenza di sganciarsi dal Pd nazionale, acquistando spazi di manovra che ci consentano di rispondere meglio alle esigenze del nostro territorio». L’idea, diffusa tra i dem veneti, è infatti che il Pd a queste latitudini sia costretto a battaglie impopolari da un lato e rinunciatarie dall’altro per via della disciplina di partito. «Sul referendum per l’autonomia, ad esempio, siamo stati fortemente condizionati dalle resistenze di Roma» e da lì sarebbe nata la posizione pasticciata. Non è la prima volta che il Pd s’immagina come la Csu bavarese (ci provò anche Forza Italia). È sempre andata male.
In chiusa, notizie da casa Lega: il consiglio nazionale, riunito venerdì sera, ha dato seguito alla decisione di Matteo Salvini e proceduto col commissariamento di tutte le segreterie provinciali i cui segretari sono stati eletti in parlamento, comprese Treviso e Vicenza anche se andranno al voto (i nomi dei commissari verranno decisi in un secondo momento). Niente deroghe per nessuno, dunque, neppure per chi aveva chiesto ai suoi di raccogliere firme a sostegno, in qualche caso addirittura a urne ancora aperte. Una scelta, quella imposta da via Bellerio, che prova a riportare un po’ di pace nel partito, dove sono ancora forti i malumori per le liste, e che aprendo la stagione congressuale delinea scenari nuovi in vista del 2019 quando si voterà per le Europee, le amministrative e chissà, magari di nuovo per le Politiche...