Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Lorenzon, oste raccontavino
A Venezia, all’enoteca «La Mascareta», il patron Mauro porta avanti la sua battaglia contro solfiti, fitofarmaci e appiattimento del gusto. Per un prodotto «buono oltre il gusto»
Il bugiardino Il mio sogno? Che passi finalmente l’idea di un bugiardino per il vino. Un’etichetta che dica cosa c’è in quello che beviamo
Ai piedi ha un paio di mocassini ricoperti di tessuto di lana con due matrioske, una mora e una castana: la bionda, dice, è lui; la castana è sua moglie Nadja. Sulla camicia almeno un paio di panciotti rigorosamente fantasia, un papillon che è davvero una farfalla e quando serve inforca occhiali con almeno due colori. Nella vita dell’oste Mauro Lorenzon, nato a Jesolo e «trapiantato» con l’attività a Venezia dal 2002, il colore, come l’ebbrezza, giocano un ruolo da protagonisti. Il suo locale «La mascareta» in campo santa Maria Formosa a Venezia, è il tempio dell’ospitalità, dove «si stappano bottiglie anche per un solo calice», e dove ha sede il «cra»: centro recupero astemi. Quando è in serata, l’oste Mauro sciabola bottiglie come il condottiero di un esercito di gaudenti al motto: «buono oltre il gusto». Perché, spiega «i vini “buoni” sono fatti nel rispetto del territorio, con uve integre trasformate in “vino puro”, prodotti con la minor manipolazione possibile, avvalendosi dei soli metodi fisici e di nessun metodo chimico artificioso». «Vengo da una famiglia di ristoratori a Jesolo e già a 14 anni facevo sostegno alla famiglia - racconta Lorenzon -d’estate davo una mano al ristorante. Il mestiere e la passione sono arrivati giocando. Nella maturità la voglia di dedicarmi a questo è cresciuta ancora di più e ho cominciato ad andare ai corsi di sommelier». Il primo vino per il quale ha perso la testa, dice, «è il Ramandolo, un verduzzo friulano di amici dei miei genitori che lo offrivano in giornate di allegria. Ho assaggiato questo vino e ho avuto un’illuminazione verso la strada di Bacco. Poi più avanti sono diventato “consulente di gusto” per alcune cantine che facevano del vino spumante». Nel mezzo, una vita spesa contro i vini industriali e la vinificazione moderna «che ha appiattito i sapori». «Negli anni ‘70 e ‘80 - spiega - i vini bianchi erano più “gialli” e avevano un gusto più autentico. Poi verso gli anni ‘90 è arrivato l’enologo in cantina e hanno cominciato a fare vini un po’ più eleganti e forse di gusto più ammiccante, ma questa imbottigliazione, che ha fatto sì che le bucce vengano subito messe da parte e si prenda solo il fiore dell’acino, se da un lato ha reso il vino buono e profumato e meno grezzo di una volta, dall’altro ha compromesso il gusto che ora è tutto uguale. Questa vinificazione moderna, che non ha più la buccia con i tannini naturali che difendono l’uva, ha bisogno dell’intervento della solforosa, un conservante ammesso dalla legge, che però in quantità elevate provoca il famoso “mal di testa” che lamenta chi dice di non amare il vino. Ecco, io sono un po’ contrario a questo uso smodato della solforosa nell’imbottigliamento: non fa bene alla salute». Quello che fa Lorenzon è andare a caccia di produttori che “non usano nulla”. «Cerco piccoli e grandi produttori che portino alla vinificazione uve sane - racconta - uve che non abbiano subito trattamenti con i fitofarmaci o con i diserbanti nel terreno, perché questi trattamenti entrano nel vino e lo rendono meno salutare. Lo slogan “buono oltre il gusto” nasce da qui. Dalla voglia di offrire qualcosa con la minor manipolazione possibile. Tornare un po’ indietro per andare un po’ avanti, per usare una frase cara al mio maestro Veronelli». Una proposta che i turisti stranieri, di passaggio nel locale, sembrano capire quasi più degli italiani: «La clientela straniera - conferma Lorenzon - è più preparata della nostra, basti vedere la moda degli orange wine, i vini “arancioni” o la sensibilità ambientale dei Paesi del nord». In questi anni Lorenzon, insieme a Flavio Franceschet, scomparso lo scorso anno, Cesare Benelli, Gian Antonio Posocco e Alfio Lovisa ha dato vita all’associazione «La laguna nel bicchiere», per promuovere la produzione di vino da uve antiche della laguna. Un progetto ambizioso, che ha incontrato qualche intoppo burocratico: «La nostra difficoltà nasce dal fatto che non ci è permesso vendere questi prodotti che sono solo per uso interno. Nessuno ci vuole guadagnare - precisa - ma se non riusciamo a vendere qualcosa non possiamo portare avanti il progetto. Ci vorrebbe un intervento degli enti pubblici per trovare una legislazione favorevole, come per le piccole produzioni di carciofi». Oggi Lorenzon si divide tra l’osteria, le conferenze, le consulenze e la produzione del suo Sclera, in contrapposizione ironica al Prosecco industriale. Si definisce «un oste “raccontavino” in prima linea». Dove la prima linea è il bancone della Mascareta. Perché «raccontare il vino con una penna è un conto, raccontarlo col bicchiere è un altro. E il mio sogno è che si arrivi al bugiardino dei vini. Per sapere cosa c’è dentro quello che beviamo».