Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
E Veneto Banca apre la partita dell’insolvenza
EVeneto Banca apre la delicata doppia partita, che avrà il bis anche a Vicenza, della richiesta dello stato d’insolvenza. L’udienza al tribunale civile si terrà stamattina. E la decisione avrà rilevanti conseguenze sia sul fronte penale che civile.
«Non è mio compito far valutazioni d’opportunità. Devo agire in funzione di quel che prevede la legge. E ci dovessero esser le condizioni per una dichiarazione d’insolvenza, sono tenuto a comportarmi di conseguenza». A parlare è il sostituto procuratore Massimo De Bortoli, titolare del filone trevigiano dell’inchiesta sul crac di Veneto Banca, che ha chiesto al tribunale la dichiarazione d’insolvenza. Passaggio delicato, che va in aula oggi davanti al giudice Antonello Fabbro, presidente della sezione fallimentare del tribunale trevigiano, in programma stamattina.
In udienza, per verificare se insolvenza vi fosse al momento della liquidazione del 25 giugno 2017, sono stati convocati i rappresentanti di ministero dell’Economia e Banca d’Italia, la cui relazione è attesa come determinante, i membri dell’ultimo cda di Atlante, con in testa il presidente Massimo Lanza e l’amministratore delegato Cristiano Carrus, e i commissari liquidatori Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Fabrizio Viola (l’ex manager che doveva guidare la fusione Bpvi-Veneto Banca, dimessosi dal 1. febbraio è ancora al suo posto finché non sarà sostituito), a cui il giudice ha chiesto di depositare per la banca la situazione al 25 giugno.
Strettoia delicata, la partita sull’insolvenza che si apre oggi a Treviso, e che avrà il suo bis a Vicenza. Per i risvolti sul fronte penale. Le contestazioni del troncone a Treviso, a carico di ignoti, sono per falso in bilancio, in prospetto e nelle relazioni delle società di revisione. Ma se insolvenza ci fosse, l’indagine virerebbe anche sul reato molto più grave di bancarotta fraudolenta. E poi ci sono i risvolti civili. La bancarotta implicherebbe il passaggio dalla gestione liquidatoria a quella fallimentare. Potrebbe voler dire richiamare indietro i rimborsi ai soci versati con le transazioni; e magari anche i crediti deteriorati andati alla Sga. Se non arrivare a scuotere il contratto di cessione a Intesa. E a inguaiare il cda uscente.
Certo, nel computo delle valutazioni la procura non può mettere l’analisi dei benefici o degli eventuali svantaggi che l’insolvenza comporterebbe. La richiesta al tribunale è stata quindi una scelta obbligata per stabilire se vi siano reati da contestare a chi la banca l’ha amministrata. De Bortoli lo fa capire.
Ma l’udienza davanti al tribunale civile sarà anche uno scontro di diritto. Perché per la procura ci sarebbero pochi dubbi che insolvenza ci fu. La richiesta di De Bortoli, ruota intorno al mancato pagamento del bond subordinato il 21 giugno 2017. Ma anche sul fatto che Banca d’Italia avrebbe ravvisato già prima della liquidazione la difficoltà patrimoniale di Veneto Banca, conpassività comunque superiori al patrimonio a disposizione. Situazione visibile anche nel contratto di cessione a Intesa, in cui l’intervento dello Stato era servito a riequilibrare lo sbilancio.
Linea che troverà però opposizione. A partire dalla memoria di Lorenzo Stanghellini, il docente che aveva spiegato proprio al cda di Montebelluna la necessità di bloccare con un decreto il rimborso del bond subordinato un anno fa. Non per incapacità di farvi fronte, ma per non creare disparità, e rischi di accuse di bancarotte preferenziali in capo al cda, rispetto agli altri detentori di subordinati che sarebbero stati azzerati con la ricapitalizzazione precauzionale; e d’altra parte se la banca non avesse per questo pagato il bond sarebbe stata dichiarata insolvente.
Argomento che Stanghellini potrebbe tornare a proporre. Al pari del fatto che le difficoltà patrimoniali rilevate anche nel contratto di cessione proverebbero una situazione vicina al dissesto e non d’insolvenza conclamata, nel senso di capacità di far fronte agli obblighi di pagamento. Perché il 25 giugno Veneto Banca aveva ancora 1,7 miliardi di patrimonio netto e circa 600 milioni di liquidità (grosso modo 160 di cassa e 450 di titoli). Situazione che sarebbe divenuta irrisolvibile di lì a poco, visto che non c’era più possibilità di ricapitalizzare, tra il forfait del fondo Atlante, i privati che non si erano materializzati e lo stop di Bruxelles alla ricapitalizzazione con i soldi dello Stato. Facendo scattare (appunto) la liquidazione.