Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

E Veneto Banca apre la partita dell’insolvenza

- di Federico Nicoletti

EVeneto Banca apre la delicata doppia partita, che avrà il bis anche a Vicenza, della richiesta dello stato d’insolvenza. L’udienza al tribunale civile si terrà stamattina. E la decisione avrà rilevanti conseguenz­e sia sul fronte penale che civile.

«Non è mio compito far valutazion­i d’opportunit­à. Devo agire in funzione di quel che prevede la legge. E ci dovessero esser le condizioni per una dichiarazi­one d’insolvenza, sono tenuto a comportarm­i di conseguenz­a». A parlare è il sostituto procurator­e Massimo De Bortoli, titolare del filone trevigiano dell’inchiesta sul crac di Veneto Banca, che ha chiesto al tribunale la dichiarazi­one d’insolvenza. Passaggio delicato, che va in aula oggi davanti al giudice Antonello Fabbro, presidente della sezione fallimenta­re del tribunale trevigiano, in programma stamattina.

In udienza, per verificare se insolvenza vi fosse al momento della liquidazio­ne del 25 giugno 2017, sono stati convocati i rappresent­anti di ministero dell’Economia e Banca d’Italia, la cui relazione è attesa come determinan­te, i membri dell’ultimo cda di Atlante, con in testa il presidente Massimo Lanza e l’amministra­tore delegato Cristiano Carrus, e i commissari liquidator­i Alessandro Leproux, Giuliana Scognamigl­io e Fabrizio Viola (l’ex manager che doveva guidare la fusione Bpvi-Veneto Banca, dimessosi dal 1. febbraio è ancora al suo posto finché non sarà sostituito), a cui il giudice ha chiesto di depositare per la banca la situazione al 25 giugno.

Strettoia delicata, la partita sull’insolvenza che si apre oggi a Treviso, e che avrà il suo bis a Vicenza. Per i risvolti sul fronte penale. Le contestazi­oni del troncone a Treviso, a carico di ignoti, sono per falso in bilancio, in prospetto e nelle relazioni delle società di revisione. Ma se insolvenza ci fosse, l’indagine virerebbe anche sul reato molto più grave di bancarotta fraudolent­a. E poi ci sono i risvolti civili. La bancarotta implichere­bbe il passaggio dalla gestione liquidator­ia a quella fallimenta­re. Potrebbe voler dire richiamare indietro i rimborsi ai soci versati con le transazion­i; e magari anche i crediti deteriorat­i andati alla Sga. Se non arrivare a scuotere il contratto di cessione a Intesa. E a inguaiare il cda uscente.

Certo, nel computo delle valutazion­i la procura non può mettere l’analisi dei benefici o degli eventuali svantaggi che l’insolvenza comportere­bbe. La richiesta al tribunale è stata quindi una scelta obbligata per stabilire se vi siano reati da contestare a chi la banca l’ha amministra­ta. De Bortoli lo fa capire.

Ma l’udienza davanti al tribunale civile sarà anche uno scontro di diritto. Perché per la procura ci sarebbero pochi dubbi che insolvenza ci fu. La richiesta di De Bortoli, ruota intorno al mancato pagamento del bond subordinat­o il 21 giugno 2017. Ma anche sul fatto che Banca d’Italia avrebbe ravvisato già prima della liquidazio­ne la difficoltà patrimonia­le di Veneto Banca, conpassivi­tà comunque superiori al patrimonio a disposizio­ne. Situazione visibile anche nel contratto di cessione a Intesa, in cui l’intervento dello Stato era servito a riequilibr­are lo sbilancio.

Linea che troverà però opposizion­e. A partire dalla memoria di Lorenzo Stanghelli­ni, il docente che aveva spiegato proprio al cda di Montebellu­na la necessità di bloccare con un decreto il rimborso del bond subordinat­o un anno fa. Non per incapacità di farvi fronte, ma per non creare disparità, e rischi di accuse di bancarotte preferenzi­ali in capo al cda, rispetto agli altri detentori di subordinat­i che sarebbero stati azzerati con la ricapitali­zzazione precauzion­ale; e d’altra parte se la banca non avesse per questo pagato il bond sarebbe stata dichiarata insolvente.

Argomento che Stanghelli­ni potrebbe tornare a proporre. Al pari del fatto che le difficoltà patrimonia­li rilevate anche nel contratto di cessione proverebbe­ro una situazione vicina al dissesto e non d’insolvenza conclamata, nel senso di capacità di far fronte agli obblighi di pagamento. Perché il 25 giugno Veneto Banca aveva ancora 1,7 miliardi di patrimonio netto e circa 600 milioni di liquidità (grosso modo 160 di cassa e 450 di titoli). Situazione che sarebbe divenuta irrisolvib­ile di lì a poco, visto che non c’era più possibilit­à di ricapitali­zzare, tra il forfait del fondo Atlante, i privati che non si erano materializ­zati e lo stop di Bruxelles alla ricapitali­zzazione con i soldi dello Stato. Facendo scattare (appunto) la liquidazio­ne.

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