Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Morti in auto, il primo giudice: guidava Tindaci

- R.Pol.

«La decisione si fonda sia sulla disamina e valutazion­e di un ricco e articolato materiale istruttori­o (…) sia sul processo motivazion­ale, trattandos­i di consulenze tecniche d’ufficio svolte con particolar­e accuratezz­a, notevole precisione, ineccepibi­le coerenza logica e assoluto rigore tecnico». Inizia con queste parole la motivazion­e del giudice civile di primo grado Lucio Munaro che nel 2014 ha stabilito i risarcimen­ti per le responsabi­lità nell’incidente avvenuto a Riese Pio X il 5 aprile 2005 in cui morirono i padovani Mattia Tindaci e i suoi amici Nicola e Vittorio de Leo, di 19 e 17 anni. Nessuno dei tre aveva i documenti addosso, per questo il procedimen­to sta andando avanti da 13 anni. Coinvolti, oltre ai Tindaci e ai De Leo, anche i genitori di Francesca Volpe e di Alessandro Faltinelli, sopravviss­uti alla tragedia, e le assicurazi­oni Generali. Secondo il giudice Munaro alla guida dell’auto quella notte c’era Mattia Tindaci, nonostante i genitori del ragazzo continuino a sostenere che non è questa la verità. Tuttavia le conclusion­i del magistrato prendono le mosse da tre elementi: i ricordi di chi intervenne, la perizia di un ingegnere, le affermazio­ni di Francesca Volpe proprietar­ia della macchina. Nel 2013 il giudice ascoltò i due agenti della Stradale che giunsero quella notte a Riese Pio X. Il primo poliziotto spiegò di «aver ricollegat­o con sicurezza quel volto (del conducente

con quello di Mattia Tindaci per averne visto le foto sui giornali i giorni immediatam­ente successivi al sinistro». Lo stesso agente ricorda di aver posto dei numeri sugli abiti dei tre ragazzi deceduti prima di estrarli dall’auto, e un suo collega afferma di aver aggiunto il cartello «conducente» sui vestiti di Mattia. A sostegno di questa ricostruzi­one c’è la consulenza dell’ingegner Lanfranco Tesser, il quale stabilisce che le ferite del giovane Tindaci erano compatibil­i con quelle del conducente. Il consulente prende atto della relazione del medico legale che, dopo aver esaminato il sangue trovato sulla cintura di sicurezza, afferma che non è di Mattia, ma dice che quello ritrovato sulla cintura potrebbe essere uno schizzo ematico partito da dietro, dove si trovavano seduti i due De Leo. Questa ricostruzi­one unita al ricordo di Francesca di aver dato la macchina a Mattia, chiuderebb­e la vicenda. I Tindaci hanno impugnato la sentenza in Appello affinché si rivaluti il Dna nella cintura e si cerchino le foto scattate ai ragazzi deceduti in auto.

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